I fossili e la teoria di Darwin
La Teoria dell’evoluzione (TDE) afferma, come ben sappiamo, di dimostrare che la varietà biologica degli organismi viventi sia dovuta al fatto che le innumerevoli mutazioni che avvengono nella riproduzione, producano talvolta effetti che consentono all’organismo beneficiato di avere un vantaggio sui suoi simili e di trasmettere tale mutazione alla progenie.
I tempi necessari perché una mutazione vantaggiosa venga selezionata e fissata sono ovviamente molto lunghi, per cui è molto difficile osservarla in tempi compatibili con la ricerca scientifica. Quindi abbiamo una teoria che non può essere facilmente ne’ dimostrata ne’ provata o ‘falsificata’. E’ anche vero che oggi vi sono molte teorie che cercano di spiegare fatti non falsificabili ma sono comunemente accettate dagli scienziati. Prendiamo per esempio i ‘buchi neri’: la loro esistenza non può essere dimostrata, anzi, per definizione i buchi neri non potranno mai essere osservati. Allora ci chiediamo perché accettiamo la teoria dei buchi neri e non la TDE? La spiegazione si riassume in una sola parola: modello.
Facciamo un semplice esempio per spiegare il concetto; immaginiamo di dovere indovinare un lungo testo avendo a disposizione solo 10 lettere, è chiaro che i testi possibili potrebbero essere molti e tutti ugualmente validi, ma se riuscissimo ad avere a disposizione altre 10 lettere, dovremo eliminare alcuni dei testi precedenti, e se poi le lettere diventassero 50, 100, allora dovremmo eliminare molte delle ipotesi di testo fatte in precedenza e, probabilmente faremo molta fatica a trovare un testo che sia in accordo con le 100 lettere di cui siamo in possesso. Eccoci al punto, le lettere a disposizione sono le realtà osservate, l’ipotesi di testo è il modello scientifico: quando il numero delle osservazioni è piccolo non è difficile elaborare un modello che le soddisfi, ma quando comincia ad aumentare il modello che riesce a spiegarle diventa assai complesso.
A questo punto arriviamo a Darwin. Quando formulò la sua teoria, avevano a disposizione poche realtà oggettive essenziali: la diversità degli esseri viventi, alcune similitudini tra gli esseri viventi, pochissimi fossili e mal catalogati. La TDE formulata da Darwin era un modello che spiegava agevolmente tutti i fatti osservati ed osservabili, ma, in più di un secolo, siamo entrati in possesso di osservazioni e conoscenze enormemente superiori. Oggi conosciamo la genetica, sappiamo come il codice genetico viene replicato e quali complessità siano alla sua base, disponiamo di un gran numero di fossili, abbiamo catalogato molte più specie animali. Quindi, avendo molte prove fossili, dobbiamo valutare se il modello della TDE sia in armonia con i fossili che possiamo osservare
Cosa dice esattamente la TDE formulata da Darwin
La teoria di Darwin sulle modalità dell’evoluzione può essere sintetizzata in questo modo:
- esistono negli aspetti morfologici degli individui viventi possibilità di variazioni, la cui origine è tuttavia sconosciuta;
- è dimostrata la tendenza degli organismi ad accrescersi numericamente secondo una proporzione geometrica;
- tuttavia lo sviluppo delle varie specie risulta limitato;
- vi è quindi una lotta-selezione per l’esistenza;
- in questa lotta l’ambiente, pur incapace di produrre variazioni ereditarie, isola, per selezione naturale, gli individui con varianti idonee, determinando, pertanto, con il succedersi delle generazioni, l’origine di una nuova specie;
- la specie si forma in maniera graduale.
Chiariamo subito un punto: Darwin ebbe un’intuizione geniale, quello che lui afferma è stato confermato dalle osservazioni scientifiche attuali. E’ stata l’estrapolazione di questi meccanismi osservabili a dare il “la” alla crescita della TDE come oggi la intendiamo. La logica è stata: se questi cambiamenti avvengono all’interno della specie, allora possono avvenire anche all’interno di categorie superiori, quindi per estensione, la TDE afferma che da un organismo unicellulare si possa arrivare all’essere umano solo attraverso mutazioni casuali e selezione naturale.
Darwin però aveva un problema, non aveva fossili che potessero dimostrare questa affermazione. Eluse l’intoppo proclamando che al momento vi erano pochissimi fossili da esaminare, ma nel corso del tempo ne sarebbero stati trovati molti altri che avrebbero confermato le sue teorie. Correva l’anno 1859, sono passati più di 150 anni, i musei del mondo straripano di fossili e continuiamo a trovarne: cosa ci dicono? Un attimo ancora di pazienza, cerchiamo di inquadrare bene le nostre affermazioni.
La situazione attuale
Naturalisti vs ultradarwinisti
La scienza in questo secolo e mezzo non è stata certo ferma, ma l’opera di Darwin è stata oggetto di numerosi studi e revisioni. Pur essendo gli studiosi concordi sui principi generali, in realtà le visioni sulla TDE sono, in certuni casi, drammaticamente differenti. Due sono le scuole di pensiero dominanti: Naturalisti e Ultradarwinisti.
I naturalisti sono costituiti per lo più da Paleontologi e annoverano tra i loro sostenitori nomi come Steven Jay Gould, Niles Eldredge ed Elisabeth Vrba. Gli ultradarwinisti, dal canto loro possono contare su studiosi del calibro di Richard Dawkins, John Maynard Smith e George Williams. Cosa li differenzia?
Per i naturalisti l’evoluzione è sostanzialmente basata su lunghi periodi di stasi, ove alle specie esistenti non si applica nessun acccenno di evoluzione, associati a repentine e brevi spinte evolutive, per cui le nuove specie compaiono improvvisamente e velocemente. Tutto questo in contrasto con Darwin che vedeva la nascita di una nuova specie sempre graduale. Dall’altra parte gli ultradarwinisti, come dice il nome, sono dei fedelissimi delle teorie Darwiniste, negano recisamente i concetti esposti dai naturalisti affermando che l’evoluzione è graduale sempre e comunque. La chiave per capire la differenza sta nel fatto che mentre i naturalisti sono generalmente dei paleontologi, i darwinisti sono dei genetisti. Ecco spiegata la contrapposizione. Da un lato i paleontologi, non avendo documentazione fossile che dimostri un’effettiva evoluzione, possono solo sostenere che l’evoluzione avviene in forme e modi che non potremo mai osservare, in una modalità che essi chiamano degli ‘equilibri punteggiati’. Gli altri, genetisti, reputano inutile la documentazione fossile e si basano solo su studi di genetica, che rafforzano la visione di cambiamenti graduali. La figura che segue spiega le due posizioni
Per dare un’idea della distanza che li separa, ecco un paio di citazioni:
- …ecco dunque la nostra prospettiva naturalistica, che io trovo entusiasmante, irresistibile e di gran lunga preferibile all’inerente miopia dell’ultradarwinismo (Eldredge, naturalista)
- La teoria degli equilibri punteggiati è solo una glossa secondaria del Darwinismo… In quanto glossa secondaria, non merita una misura di pubblicità particolarmente grande (Dawkins, ultradarwinista)
Non sono frasi avulse dal contesto, ma tratte da due testi che per intero difendono una tesi opponendosi all’altra. Andiamo a vedere nel dettaglio cosa ci dice la documentazione fossile e se supporta la TDE.
Le prove fossili
Di molti lavori effettuati sui fossili, alcuni sono diventati pietre miliari per vastità e significato. E’ vero che, in assoluto, la documentazione fossile è incompleta, ma è anche vero che, in alcuni casi abbiamo, per pochi gruppi di organismi, la possibilità di avere abbondantissimi reperti. Questo è il caso delle trilobiti che analizzò Sheldon. Si tratta di oltre 15.000 fossili che si distribuiscono su un arco di tre milioni di anni. Pensiamoci un attimo: abbiamo, fotografati negli strati geologici, tre milioni di anni di storia di alcune famiglie di trilobiti. Se ci fossero tracce di evoluzione dovremmo vederle. Darwin e i suoi seguaci dicono che le variazioni genetiche sono continue e sempre all’opera. In un arco di tempo così vasto, dovrebbe quindi essere saltata fuori qualche mutazione selezionata per produrre un tratto osservabile che portasse un reale vantaggio ad un gruppo di organismi. Parliamo di tre milioni di anni per organismi che hanno un ciclo vitale di pochi anni, forse mesi. Bene, ecco, in sintesi i risultati di Sheldon.
Tre milioni di anni, otto specie di trilobiti che vivevano nello stesso ambiente, quindicimila fossili, nessuna variazione di rilievo, il cambiamento più importante, nel tempo, è il numero delle costole, come si può vedere dal grafico. Come se non bastasse, possiamo vedere anche i risultati di un altro lavoro di Brouwer sulle ammoniti del genere Kosmoceras: anche qui nulla di interessante.
Ma allora, come mai si considera la TDE un dato di fatto quando le uniche prove dirette sono assolutamente insufficienti? Se riflettiamo un secondo possiamo notare che la variabilità all’interno della specie è, seppur per piccoli particolari, elevata. Non possiamo dire che le variazioni genetiche non esistano, solo che queste variazioni, continue ed osservabili, non portano nulla, proprio nulla di nuovo. Osservare organismi dove compaiono o sono in abbozzo organi nuovi, vedere come gradualmente una specie con mutazioni vantaggiose prende il sopravvento sulle altre, nulla di tutto questo: la testimonianza fossile ci dice che le specie compaiono improvvisamente, vivono a lungo restando stabili, e altrettanto improvvisamente scompaiono. Punto.
Altre prove fossili
Se volessimo provare con i vertebrati, ecco che possiamo osservare il più conclamato tra gli esempi di evoluzione ‘dimostrata’, l’evoluzione del cavallo.
In cinquanta milioni di anni, ammesso che le ricostruzioni siano reali, siamo passati da un quadrupede erbivoro ad un… quadrupede erbivoro. Certo, i geni hanno fatto un buon lavoro ma la TDE, per avere senso, deve dimostrare che i cambiamenti casuali hanno fatto sì che da un batterio si arrivasse al cervello umano, deve dimostrarci che c’è stata un’evoluzione tra le grandi categorie: pesci/anfibi, anfibi/rettili, rettili/uccelli e così via.
Riflessioni finali
Dopo tutti questi ragionamenti, una riflessione sulla TDE: è pericoloso partire da un’idea preconcetta e cercare di dimostrarla. Ebbene, gli evoluzionisti, in molti casi, hanno agito proprio così. Esisteva una teoria, che sembrava funzionare in piccolo, ed è stata adattata, modificata, stirata in modo da spiegare tutta la diversità biologica. E’ vero, non ci sono alternative per spiegare il mondo in cui viviamo in modo ateo, però questo non giustifica il dogmatismo della TDE. Se provate a leggere qualsiasi testo sulla TDE, sia esso divulgativo o specialistico, farete fatica a trovare capitoli o paragrafi che si soffermino sul grado di attendibilità della medesima. Gli stessi libri da cui sono tratte le illustrazioni e gli esempi precedenti, sostengono la TDE e sono scritti da evoluzionisti famosi, ma il fatto che tali esempi possano mettere in crisi l’essenza della teoria non viene preso minimamente in considerazione. Pare che l’evoluzione sia una certezza che non ha bisogno alcuno di essere dimostrata. Ci si chiede se davvero la chiave di tutta la storia del nostro pianeta sia nelle mutazioni casuali e nella selezione naturale.
Dovrebbe far pensare anche l’estrema divisione tra le diverse scuole di pensiero: non possono avere ragione entrambe e le discussioni tra scienziati di fazioni opposte spesso assumono carattere di lite, scientifica ma sempre lite. E’ curioso che, parlando delle divisioni tra loro, Niles Eldredge ebbe a dire che si sentirono uniti solo quando i creazionisti, sostenuti da un presidente degli Stati Uniti, dopo la pubblicazione della teoria degli equilibri punteggiati, attaccarono la TDE cercando di impedirne l’insegnamento nelle scuole.
Ancora più curioso è che in campo scientifico uno studioso può attaccare qualunque teoria, ovviamente con dati e fatti alla mano, rimanendo rispettabile e rispettato, ma se si azzarda ad attaccare la TDE, con i dati che vi ho esposto e i molti altri disponibili, viene immediatamente denigrato e isolato, come se si fosse permesso di bestemmiare qualcosa di sacro.
Marco Chiesa
geologo