“Un fortunato Universo su misura”
Vi è mai capitato di soffermarvi ogni tanto su quanto siete fortunati?
Non ci riferiamo a lotterie vinte, oggetti ritrovati, pericoli scampati o epiloghi felici delle circostanze della propria vita ma del nostro posto come esseri umani rispetto all’Universo in cui viviamo.
E quando parliamo di Universo intendiamo tutto ma proprio tutto quanto ci circonda, che non andrebbe mai preso per scontato…
Questa stessa domanda ci viene posta anche da tre giovani astrofisici, Filippo Bonaventura, Lorenzo Colombo e Matteo Miluzio nel loro recente libro “L’Universo su misura – Viaggio nelle incredibili coincidenze cosmiche che ci permettono di essere qui”, edito da Rizzoli.
Il libro affronta con un approccio divulgativo ma rigorosamente scientifico il tema della presenza del pianeta Terra e della vita che in esso si manifesta in questo nostro Universo così assurdamente inospitale. Gli autori usano una bellissima metafora: se con una matita dovessimo indicare a occhi chiusi un punto dell’Universo, cosa troveremmo? Con grandissima probabilità solo un angolo vuoto, privo di materia, a una temperatura di circa -270 C°.
Ma allora come spiegare la presenza dell’Universo, del nostro pianeta e della vita?
Gli autori si richiamano al principio antropico formulato nel 1973 dal cosmologo Brandon Carter nella sua prima versione “debole” e che oggi viene riproposto nel seguente modo:
Principio antropico debole: “I valori osservati di tutte le quantità fisiche e cosmologiche non sono equamente probabili ma assumono valori limitati dal prerequisito che esistono luoghi dove la vita basata sul carbonio può evolvere e dal prerequisito che l’Universo sia abbastanza vecchio da aver già permesso ciò.” (Barrows e Tipler, 1986).
Esiste anche una versione “forte” di questo principio che recita: “L’Universo deve avere quelle proprietà che permettono alla vita di svilupparsi al suo interno a un certo punto della sua storia”; più recentemente è stato formulato anche un principio antropico ultimo: “Deve necessariamente svilupparsi una elaborazione intelligente dell’informazione nell’Universo, e una volta apparsa, questa non si estinguerà mai”.
Quale che sia la versione di questo principio che vi sembra più soddisfacente per spiegare la straordinaria singolarità della presenza dell’ordine del cosmo, della vita e dell’essere umano, rimane aperta una questione di fondo che rivela una profonda contraddizione tra il principio antropico e il cosiddetto “principio cosmologico” formulato nel XX° secolo, il quale stabilisce che, su grande scala, l’Universo si manifesta omogeneo e isotropo.
Gli autori invitano il lettore a riflettere sul fatto che il nostro Universo si regge sulla “regolazione fine” di certe costanti fisiche e sul fatto strabiliante che alcune di esse, come la costante di struttura fine, sono adimensionali, cioè non dipendono da una particolare scelta delle unità di misura. Anche qui usano un esempio efficace: immaginate di avere a disposizione un certo numero di manopole da poter ruotare a piacimento e che da ogni combinazione possa venir fuori un Universo. Per ottenere quello in cui viviamo da una quasi infinita possibilità di combinazioni è necessario “indovinare” quella giusta (dopo vedremo quante e quali sono alcune di queste “manopole”).
Naturalmente tra gli scienziati c’è chi rifiuta una ricaduta filosofica di queste fortunate coincidenze, ma è anche pronto ad ammettere che non esiste al momento una migliore spiegazione scientifica ad esse.
Gli autori affermano nel libro che “Se l’Universo è fatto appositamente per permettere la nostra presenza, allora gli apparteniamo davvero. Perciò ora lo sai: l’Universo non è “la fuori”, è “casa nostra”.
Questa riflessione ci fa venire in mente un pensiero di Maimonide:
“Sappi, figlio mio, che, fintantoché ti occupi delle scienze matematiche e dell’arte della logica, tu sei nel gruppo di coloro che girano intorno alla casa cercando la porta. Se invece tu hai compreso ciò che riguarda la fisica, tu sei entrato nella casa e cammini nelle anticamere; se poi tu hai perfezionato la conoscenza della fisica e hai compreso la metafisica, allora sei entrato dal re, nel ‘cortile interno’ e ti trovi con lui nella stessa casa – e questo è il grado raggiunto dai dotti, che hanno diversi livelli di perfezione”. [1]
Ci sentiamo pertanto di consigliare caldamente il libro di Bonaventura (astrofisico laureato all’Università di Trieste e divulgatore scientifico), Colombo (astrofisico presso l’Università di Torino e divulgatore scientifico) e Miluzio (astronomo con dottorato dell’Università di Padova e che lavora attualmente all’Istituto di Astrofisica delle Canarie) anche per il modo relativamente semplice ed estremamente efficace di spiegare concetti molto complessi e articolati, rendendoli addirittura avvincenti anche per chi non ha la specifica passione per la cosmologia o per la fisica o non è sempre e comunque attratto da libri come questi perché fondamentalmente “malato” di scienza.
Riteniamo comunque importante anche evidenziare che molte delle argomentazioni proposte e delle evidenze citate nel libro ci hanno ricordato altre pubblicazioni degne di nota, purtroppo al momento solo in inglese, che ci sentiamo di consigliare caldamente insieme a questa eccellente trattazione.
Stiamo parlando in primis di “A Fortunate Universe: Life in a Finely Tuned Cosmos”, edito da Cambridge University Press, di Geraint F. Lewis, professore di astrofisica al Sydney Institute for Astronomy, Luke A. Barnes, astrofisico teoretico, cosmologo e ricercatore post-dottorato alla Western Sydney University, con PhD in Astronomia dall’Università di Cambridge e Brian Schmidt, Premio Nobel per la Fisica nel 2011 e astronomo al Research School of Astronomy and Astrophysics della Australian National University.
Anche in questa pubblicazione viene fatto riferimento alla “fortuna” (addirittura nel titolo dell’opera) di queste “coincidenze” e viene approfonditamente evidenziato, attraverso un ricco elenco di valori adimensionali, rapporti e probabilità, come risulti inevitabile riflettere approfonditamente su quanto gli scienziati hanno scoperto nell’ultimo secolo relativamente al fatto che, se l’Universo fosse stato anche solo minimamente differente – e “minimamente” è ampiamente eufemistico, come vedremo dopo – la vita come la conosciamo – ma anche come potremmo immaginarla – non sarebbe possibile.
Ma quali sono le possibili spiegazioni a questo stato di cose sempre più scientificamente evidente?
“L’Universo su misura” riporta l’esempio ipotetico nel quale ci si ritrova “a cena con un gruppo di fisici o filosofi”, scoprendo che c’è chi ritiene che “l’enigma” dell’origine dell’Universo potrebbe avere varie soluzioni, tra le quali cita l’esistenza di “innumerevoli universi paralleli”, l’idea che viviamo tutti in una “vastissima e dettagliatissima simulazione” oppure che l’Universo sia “stato progettato da un intelligent designer”.
Non vogliamo anticiparvi quale tra queste e altre soluzioni viene scelta dagli autori italiani come più scientificamente attendibile ma vogliamo evidenziare ciò che ammettono a pagina 224:
“Ipotizzare un “progettista intelligente” risolverebbe quindi le questioni legate a tutte quelle domande rimaste ancora insolute da un punto di vista cosmico ma anche biologico.”
Questa dichiarazione ci sembra degna di nota; certo, non stiamo parlando di sostenitori dell’Intelligent Design (di seguito “ID”): gli autori si schierano infatti indirettamente ma nettamente tra gli aderenti al naturalismo metodologico, che prevede la scelta di una spiegazione naturale a qualunque costo, anche a quello altissimo di rischiare di commettere la fallacia logica “del futuro”.
Dichiarano infatti che l’assenza di spiegazioni naturalistiche valide oggi “non significa affatto” che questo enigma non possa avere “una spiegazione naturale”, ma significherebbe semplicemente “che non sappiamo ancora quale sia”.
Questo va sempre concesso quando si fa scienza, in quanto possibile, ma riteniamo che, per non commettere fallacie logiche, vada anche concesso il contrario, ovvero quello che sostiene la teoria dell’ID e che è rappresentato dall’adozione dello stesso metodo usato dalle scienze storiche abduttive per stabilire come certe caratteristiche dell’Universo e degli organismi viventi siano spiegati meglio facendo ricorso a una causa intelligente, scelta che permette forse di entrare nel “cortile interno” metaforicamente descritto da Maimonide.
Infatti, il libro precedentemente citato di Lewis, Barnes e Schmidt, “A Fortunate Universe”, ammette che l’ID ha il vantaggio di “cercare di argomentare sul fatto che quello che sappiamo relativamente alle cause naturali mostra che queste non possono riempire un particolare vuoto”: il tipico limite del naturalismo metodologico.
In effetti, l’inferenza al design applicata alla cosmologia e alla fisica può avvenire attraverso lo studio delle proprietà probabilistiche che caratterizzano la struttura dell’Universo allo scopo di stabilire se queste presentino le caratteristiche che nella nell’esperienza comune vengono attribuite inequivocabilmente a una causa di natura intelligente.
Il tipo di informazione, osservabile empiricamente, che è prodotta da un’attività intelligente viene generalmente definita «complessità specificata» o «informazione complessa e specificata» (in inglese “Complex and Specified Information”, CSI). Un oggetto o un evento sono complessi e specifici se sono statisticamente improbabili e se corrispondono a un modello indipendente da regole o da leggi naturali o matematiche, pur possedendo un contenuto, un significato, una funzione.
La “regolazione ottimale” delle leggi fisiche e chimiche, o “fine tuning”, sembra essere un esempio notevole di conferma di queste inferenze, essendo queste leggi certamente complesse, poiché altamente improbabili da un punto di vista statistico, e specificate, in quanto corrispondenti i parametri necessari per consentire l’esistenza della vita e di tutto quanto la circonda.
Non per niente, da molto tempo scienziati di altissimo livello nelle discipline che si occupano dei campi legati alla “regolazione ottimale” delle “manopole” dell’Universo si sono espressi favorevolmente nei confronti dell’inferenza all’ID.
Nel 1936, il fisico Arthur Compton, Premio Nobel nel 1927 – lo scopritore dell’effetto che porta il suo nome – si era già nettamente schierato verso questa conclusione logico scientifica dichiarando che “è incontrovertibile che dove esiste un piano c’è un intelligenza… [come l’]Universo ordinato che si distende testimonia”. [2]
Il grande fisico, matematico e astronomo Fred Hoyle espresse un parere simile quando dichiarò quanto segue:
“Un’interpretazione di buon senso dei fatti suggerisce che un super-intelletto abbia “scimmiottato” con la fisica, così come con la chimica e la biologia e che non ci sono in Natura forze cieche di cui vale la pena parlare [come possibile spiegazione]. I numeri che si possono calcolare in base ai fatti mi sembrano così schiaccianti da porre questa conclusione quasi fuori questione.” [3]
Anche secondo il grande fisico e cosmologo Paul Davies c’è qualcosa che considera “schiacciante”, ovvero “la tentazione di ritenere che l’Universo è il prodotto di una specie di design, una manifestazione di un’acuta estetica e di un rigore matematico… La credenza secondo la quale ci sia ‘qualcosa dietro tutto quanto’ è da me personalmente condivisa con quella che sospetto essere la maggioranza dei fisici”. [4]
Più tardi, un altro Premio Nobel per la fisica, Charles Townes (nel 1964), ebbe a dire nel 2005:
“L’Intelligent design, visto da un punto di vista scientifico, sembra essere piuttosto reale. Questo è un Universo molto speciale: è notevole il fatto che sia venuto all’esistenza proprio così. Se le leggi della fisica non fossero state come sono, non avremmo potuto affatto esser qui. Il sole non avrebbe potuto essere lì, le leggi della gravità, quelle nucleari, il magnetismo, la meccanica quantistica e via dicendo devono essere esattamente come sono per permetterci di essere qui.” [5]
Il celebre fisico e matematico britannico Freeman Dyson ebbe a dichiarare che “più esamino l’Universo e i dettagli della sua architettura, più prove trovo del fatto che, in un certo qual modo, l’Universo doveva sapere che stavamo arrivando”; [6] sulla teoria dell’ID dichiarò nel 2007 che credere che possa essere una spiegazione ragionevole dell’Universo è “pienamente compatibile con la scienza”. [7]
Ci sarebbero tante altre citazioni interessanti da sottoporvi ma riteniamo che possa essere più produttivo riassumere il concetto con i dati messi in evidenza dalle pubblicazioni citate dal nostro articolo: andiamo a vedere nella metaforica “stanza interna del re” quante “manopole” ci sono e quante “tacche” possiedono…
Di seguito l’elenco delle principali “coincidenze” che permettono l’esistenza fisica dell’Universo essendo tutt’ora in vigore o essendo intervenute nelle varie fasi della formazione e della vita dell’Universo:
- Rapporto della massa del neutrone rispetto al protone: 1 probabilità su 10^3 (1/1.000 = 0,001).
- Rapporto della forza nucleare debole rispetto alla forza nucleare forte: 1 probabilità su 10^4 (1/10.000 = 0,0001).
- Tasso di espansione iniziale dell’Universo: 1 probabilità su 10^17 (1/100.000.000.000.000.000 = 0,00000000000000001).
- Massa del quark: 1 probabilità su 10^21 (1/1.000.000.000.000.000.000.000 = 0,000000000000000000001).
- Densità iniziale dell’Universo: 1 probabilità su 10^24 (1/1.000.000.000.000.000.000.000.000 = 0,000000000000000000000001).
- Valore della costante di gravitazione universale: 1 probabilità su 10^35 (1/100.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000 = 0,00000000000000000000000000000000001).
- Rapporto tra la forza elettromagnetica e la gravità: 1 probabilità su 10^40 (1/10.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000 = 0,0000000000000000000000000000000000000001).
- Densità della massa cosmica al tempo di Planck: 1 probabilità su 10^60 (1/1.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000 = 0,000000000000000000000000000000000000000000000000000000000001).
- Valore della costante cosmologica: 1 probabilità su 10^90 (1/1.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000 = 0,000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000001).
La somma matematica delle probabilità sopra elencate è 1 probabilità su 10^294 (1/100.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000 = 0,000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000001).
Questo enorme numero è da valutare anche tenendo presente che abbiamo tralasciato altri valori, alcuni di impatto “trascurabile” come la probabilità del giusto valore della forza elettromagnetica (1/25) o di quello della forza nucleare forte (1/200) ma anche un altro che è invece quasi ai limiti della comprensione, ovvero la probabilità del valore iniziale di entropia dell’Universo, del quale abbiamo già parlato nel nostro articolo “Entropia dell’Universo e disegno intelligente” [8], che vi consigliamo di leggere se non l’aveste ancora fatto.
Ottenere questo valore casualmente, secondo i calcoli del Premio Nobel per la fisica (nel 1988) Sir Roger Penrose, matematico, fisico e cosmologo britannico, corrisponde a 1 probabilità su 10^(10^123), ovvero una base di dieci elevata a un’altra base 10 elevata a 123, un numero così piccolo “da fare arrendere anche i calcolatori più potenti” mai progettati dall’uomo, come viene dichiarato nello specifico da “L’Universo su misura”.
Se infatti decidessimo di rappresentare questo numero come abbiamo fatto con i precedenti, ovvero con la quantità di zeri dopo la virgola corretti, ci sarebbero più zeri che particelle elementari nell’Universo (più di una volta e mezza, per essere un po’ più precisi), quindi abbiamo pensato fosse meglio scriverlo con l’utilizzo dell’esponente su base 10…
Con questo non stiamo dicendo che fatti altamente improbabili non possano accadere.
Facciamo un esempio per semplificare: una partita di calcetto si gioca in maniera vivace in un campetto prospiciente la strada statale della zona, scarsamente trafficata, che scorre parallela, poco più indietro a una delle linee di porta. L’azione che si svolge sembra essere favorevole per una delle due squadre che, lanciata in attacco, orchestra un’azione decisiva. Al momento del tiro, però, l’attaccante si “mangia” un goal a porta vuota tirando “alle stelle” il perfetto assist appena ricevuto.
Ora accade qualcosa di strano: la traiettoria del pallone segue una parabola discendente molto al di sopra della traversa e vola verso la strada statale, dove contemporaneamente sta transitando una delle rare automobili di passaggio che ha anche il finestrino posteriore abbassato, finestrino nel quale, come d’incanto e incredibilmente, il pallone finisce perfettamente per infilarsi, nel punto giusto, al momento giusto.
Se fossimo stati presenti a quella scena un sorriso ci avrebbe sicuramente solcato il viso.
Ma pensiamoci un attimo: quante coincidenze devono essere successe per permettere che un evento così improbabile accadesse? Se avessimo voluto realizzarlo volontariamente avremmo riscontrato difficoltà enormi, al limite dell’impossibile, eppure la scena si è svolta proprio davanti ai nostri occhi, del tutto casualmente, senza alcuna ‘volontà’ di produrre un risultato del genere.
Quindi a volte un evento altamente improbabile accade e ciò sembra davvero “impossibile”: nel nostro esempio il ‘caso’, senza nessun tipo di volontà, ha prodotto un allineamento di parametri notevoli come velocità del pallone e del veicolo, direzione della sfera e del veicolo, coefficiente di rotazione, forza del calcio impresso, resistenza dell’aria, pressione atmosferica, effetto di Coriolis etc., etc.
Significa questo che anche le “manopole” del “sintetizzatore della vita” possano similmente aver avuto luogo per caso come i dati più sopra riportano?
Nessuno nega che possa esserci un vincitore alla lotteria (1/11.000.000), che un fulmine ci possa colpire (1/10.000) o che qualche altro evento altamente improbabile si verifichi, ma ottenere i parametri settati con un ordine di grandezza come quello delle cifre riportate più sopra significherebbe veder riprodotti continuativamente quasi all’infinito eventi improbabili.
Significherebbe vivere una vita quasi eterna in quel campo di calcetto e a ogni tiro centrare perfettamente il finestrino abbassato di un veicolo in transito, o vincere per i prossimi miliardi di anni la lotteria consecutivamente senza interruzioni, o essere colpito ogni secondo per trilioni di anni dallo stesso fulmine…
E questi sono solo esempi altamente riduttivi…
Va inoltre introdotta una considerazione molto importante proposta da William Dembski, filosofo, teologo e soprattutto matematico statunitense, tra coloro che hanno contribuito maggiormente alla formulazione dell’attuale teoria dell’ID.
Oltre ad aver conseguito numerose lauree, tra le quali filosofia, teologia, psicologia, statistica all’Università dell’Illinois e dottorato in matematica all’Università di Chicago, Dembski ha insegnato alla Northwestern University, all’Università di Notre Dame e all’Università di Dallas, operando anche come ricercatore post-dottorato in matematica al MIT, in fisica all’Università di Chicago e in scienze informatiche alla Princeton University.
Nel suo famoso libro “The Design Inference”, edito da Cambridge University Press nel 1998, Dembski ha calcolato un limite, che ha chiamato “Universal Probability Bound” (“limite universale di probabilità”) per stabilire un punto di demarcazione assoluta. Utilizzando i seguenti valori, egli ha stimato la quantità massima di eventi di qualunque tipo che si sono potuti verificare dalla nascita dell’Universo [9]:
- Nell’Universo fisico conosciuto la scienza stima 10^80 particelle elementari.
- Un cambiamento dello stato della materia non può avvenire più rapidamente di quello che i fisici chiamano “il tempo di Planck” e che corrisponde a 1 secondo diviso per 10^43.
- La stima dell’età dell’Universo è di circa 14 miliardi di anni, ovvero 10^16 secondi.
Quindi se stabiliamo per assunto che ogni evento fisico nell’Universo richiede la transizione di almeno una particella elementare (ovviamente la maggior parte ne richiedono molte di più), anche senza sapere come quell’evento può aver operato nel dettaglio e su cosa, i limiti sopra elencati suggeriscono che il numero totale degli eventi nell’intera storia del cosmo non può superare la cifra di 10^80 x 10^43 x 10^16, ovvero 10^139.
Dembski ha poi arrotondato il valore ottenuto alla cifra di 10^150, ma che sia con l’arrotondamento o senza, il punto che si può difficilmente smentire è che ogni evento la cui probabilità supera 1 su 10^139 (o 1 su 10^150) non può essere plausibilmente spiegato con il semplice caso: se quell’evento fosse avvenuto avrebbe per forza di cose richiesto un input di informazione dall’esterno, tipicamente da parte di un’agenzia intelligente.
Anche perché va ricordato che, in base a quanto elencato e sommato relativamente alle “coincidenze” cosmiche e alle leggi fisiche (le famose “manopole”), la cifra viene superata di 155 unità di grandezza (144 nel caso dell’arrotondamento)!!!
E questo senza considerare il parametro di Penrose riguardante l’entropia iniziale dell’Universo!
A che punto ci ritroviamo quindi?
Le implicazioni di queste e altre riflessioni hanno recentemente spinto Stephen C. Meyer, ex geofisico e professore universitario con Ph.D. in filosofia della scienza dall’Università di Cambridge e direttore del Center for Science and Culture del Discovery Institute a Seattle, a scrivere il trattato “Return of the God Hypothesis” (HarperOne, 2021) per analizzare, da teorico dell’Intelligent Design, se, come e quanto le spiegazioni della scienza a queste recenti scoperte possano essere adeguate dal punto di vista del potere esplicativo e cosa possono insegnarci nel caso non lo fossero.
Analizzando queste spiegazioni dalle prime ipotesi cosmologiche alle più recenti teorie della fisica, dalla cosmologia quantistica alla teorie delle stringhe fino al multiverso, Meyer espone il suo punto di vista dimostrando con la logica che la spiegazione migliore per la nascita delle leggi fisiche della realtà e dell’Universo dal nulla sia l’intervento di un entità teistica onnipotente che normalmente viene identificata con Dio: l’avanzamento stesso delle scienze come la fisica, la cosmologia e la biologia porterebbero a rivalutare questa ipotesi proprio per il suo potere esplicativo, non come argomento dall’ignoranza, teologico o religioso ma come migliore spiegazione logica in una scienza non più ermeticamente isolata da questo tipo di spiegazioni, soprattutto se si rivelano migliori dopo il vaglio della scienza stessa; una scienza libera dai ceppi del naturalismo metodologico – una limitante posizione filosofica e, per certi versi, ideologica – che non ha nulla a che vedere con il vero spirito della ricerca della conoscenza che la scienza dovrebbe permettere di manifestare a pieno e in tutte le direzioni verso le quali le prove conducono.
(A cura di Ferdinando Catalano, Carlo Alberto Cossano, Cristian Puliti; pubblicazione digitale Davide Ricciardulli)
Note, citazioni e riferimenti:
1. Maimònide, parte III, cap. LI.
2. Arthur Compton, Chicago Daily News (12 aprile 1936).
3. “The Accidental Universe”, Cambridge University Press, 1983, p. 118).
4. “The Christian perspective of a scientist” nel recensire “The way the world is” di John Polkinghorne, New Scientist, p. 638-639 (2 giugno 1983).
5. “‘Explore as much as we can’: Nobel Prize winner Charles Townes on evolution, intelligent design, and the meaning of life” di Bonnie Azab Powell, UC Berkeley NewsCenter (17 giugno 2005).
6. Freeman Dyson, “Disturbing the Universe”, New York: Harper & Row, 1979, p. 250.
7. CCNet newsletter n. 66/2007 – 27 March 2007.
8. https://www.ciid.science/blog/2020/02/03/entropia-delluniverso-e-disegno-intelligente/
9. “The Design Inference: Eliminating Chance Through Small Probabilities”, Cambridge University Press, 1998.
Sinceramente si rimane sbalorditi dalla finezza e dall’ estrema precisione delle Leggi che regolano la materia per far si che qualcuno su questo Pianeta possa riflettere sulla conclusione assolutamente più logica e razionale e cioè che tali costanti possano essere state regolate solo da una Mente che ha un’immensa potenza conosciuto come Creatore.
A ciò, sì può aggiungere anche l’immensa complessità alla base della vita stessa e dell’informazione ad essa associata.
Grazie del Vostro impegno e di tutto ciò che divulgate a beneficio di chi riflette su questi ottimi articoli.
Grazie a lei Rolando, continui a seguirci e a farci sapere cosa ne pensa del nostro lavoro. A presto!
Premesso che considero l’ID una delle più ragionevoli possibilità in campo (per tanti motivi, non religiosi, che esulano da questo contesto), devo esprimere la seguente obiezione al contributo, in ultimo citato, di Dembski: il calcolo effettuato sulla possibilità di stato di tutte le particelle dell’Universo per tutti gli istanti nei 14 miliardi di anni di esistenza, fornisce appunto un numero minimo, in quanto considerando stati complessi (non solo non-off) e aggregati di particelle, il numero di eventi si moltiplica a dismisura (ben oltre il 10^150), non potendo impedire tuttavia che alcuni fatti si verifichino comunque; per esempio, il fatto che una formica si trovi in un determinato istante in un preciso luogo, a partire dalla storia di miliardi di anni di ciascuna delle sue particelle, avrebbe una probabilità calcolata a priori praticamente nulla (ben inferiore a 1/ 10^150), eppure a posteriori verificata. Analogamente, la Vita nell’Universo, potrebbe a posteriori dover essere accettata come quel caso su 10^1.000 che nei fatti si è verificato. Diverso sarebbe lo scenario, se ci fossimo trovati ad assegnare delle probabilità ‘a priori’ 14 miliardi di anni fa conoscendo, in linea teorica, il ventaglio degli eventi futuri possibili: se la Vita fosse veramente una unica possibilità tra quasi infinite altre rette solo da materia inerte, ovviamente il constatare poi che si è verificata ci darebbe una certezza (a livello di umana comprensione) di una ‘premeditazione’ sottostante la materia. Allo stato, considero il Fine tuning un semplice indizio, utile ma non decisivo.
Grazie del suo approfondito commento Mauro.
Sì, un indizio, ma riteniamo molto più che utile.
Certo, in una teoria che utilizza il metodo storico o abduttivo non si ha la certezza assoluta delle spiegazioni proposte ma si sceglie la migliore spiegazione, quella più probabile, basandosi sulle cause oggi note unicamente in grado di produrre l’effetto in questione.
E su questo, l’ID è senza alcun dubbio una spiegazione migliore rispetto a processi casuali (che tra l’altro, nel caso del fine tuning, non sono così chiaramente identificati nelle teorie fino ad oggi presentate).
Continui a seguirci e grazie.