Causalità, natura, materialismo e Intelligent Design – Terza parte

Estensione del principio di causalità e Intelligent Design

È un mero arbitrio di Kant l’aver stabilito che la categoria di causalità non possa estendersi oltre il mondo fenomenico, empirico; e peraltro anche sulla distinzione fra fenomeno e noumeno vi sarebbero molte considerazioni da fare, ma ometto di farlo in questa sede. Non è lecito porre limiti arbitrari all’estensione del principio di causalità. Fino a prova decisiva contraria – però decisiva, appunto – esso possiede portata trascendente, che cioè si estende al di là dei limiti del regno corporeo, che è sempre peraltro il regno della finitezza, della generazione e della corruzione, del nascere e del morire. Analizziamo la questione:   

  • La nozione di effetto. È vero che in partenza la nozione di effetto si riferisce all’ordine sensibile, corporeo, che è anche necessariamente finito, ma ciò avviene solo perché l’uomo inizia sempre il proprio atto conoscitivo dal mondo sensibile (salvo il caso, miracoloso, della scienza infusa).

Eppure, non vi è motivo per sostenere che la nozione di effetto sia necessariamente ristretta al mondo corporeo, come è invece necessariamente ristretta agli enti finiti. Il principio di causalità è valido per ogni effetto, sia esso inorganico o vivente, corporeo o spirituale (per esempio l’esistenza della mente umana). Sebbene i primi enti che l’uomo percepisce siano corporei, si comprende come ciò che comincia a essere – cioè: l’effetto – è causato non perché corporeo, ma proprio perché a un certo punto comincia a essere. Pertanto, rispetto all’effetto il principio di causalità si applica a tutto ciò che comincia a essere, sia esso materiale o immateriale.  La nozione di causa. Alla stregua della nozione di effetto, in partenza anche la nozione di causa si applica all’ordine sensibile. Eppure, il concetto di causa non include in se stesso la nozione di corporeità, e stavolta neppure quella di finitezza. Causa è ciò che fa essere (esistere) l’effetto, e così la nozione di causa deve essere ampia (cioè: ontologicamente perfetta) almeno quanto l’effetto che fa essere. Di più: se la nozione di effetto richiama un ente imperfetto e limitato, quella di causa deve riferirsi a un ente o avvenimento almeno ontologicamente uguale (cioè altrettanto perfetto), se non superiore, al causato. Decisivo è che non abbia meno perfezione di quanta ne abbia originata. La nozione di causa può valere egualmente nell’ordine corporeo come in quello spirituale, nell’ordine finito come in quello infinito. Volta per volta, spiega P. Carosi, nell’applicare il principio di causalità sono la natura dell’effetto e la necessità di individuare una causa proporzionata a decidere di qual natura debba essere la causa. Se un effetto si spiega con una causa materiale, è arbitrario porne una spirituale, ma se quella materiale non risulta sufficiente, rifiutare quella spirituale significa negare la razionalità dell’effetto e ammettere l’assurdo, poiché si ammetterebbe un’esistenza senza una causa adeguata di quell’esistenza! Ribadiamo: se un effetto si spiega adeguatamente con una causa finita, non è lecito ricorrere a quella infinita; ma se quella finita non è proporzionata (come invocare la mera materia inerte e le sue cieche dinamiche per spiegare: la struttura del DNA; le adeguate condizioni cosmologiche iniziali che condussero, in diverse fasi, all’ordine cosmico attuale; l’origine della vita…), allora, come detto, negare la causa infinita è ammettere l’assurdo, cioè ammettere che esista qualcosa (l’effetto) senza ciò grazie a cui soltanto può esistere.

Conclusione: cosa pensare del materialismo? 

Il materialismo non rappresenta affatto un esito necessario dell’indagine sulla natura e sulla vita. Le scienze empiriche, sperimentali e naturali si mantengono di certo sul piano della physis – che è il piano entro il quale le loro conoscenze nascono, crescono e si sviluppano – senza trascenderlo, ma ciò non giustifica la pretesa di esaurire la conoscenza della realtà tutta riducendola al piano della sola physis. Questa pretesa implicherebbe il chiudere pregiudizialmente le porte a un altro piano, quello meta-

fisico, che a queste scienze – ma non al filosofo di queste scienze – è estraneo per metodo. Per la verità, sarebbe forse opportuno distinguere due tipi di materialismo: 

  • Metodologico, che si manifesta allorché l’indagine delle scienze naturali si limiti al piano della physis senza porsi la questione di un livello metafisico, che non viene però escluso. In questo caso il materialismo è un metodo di condotta e ricerca, non una conclusione. 
  • Ontologico, cioè assolutista, che pretende, in maniera indebita, di ridurre la realtà tutta alla dimensione fisica, escludendo a priori ogni dimensione “altra”. Si conclude allora senza prove che la realtà si ridurrebbe al solo livello della materia, mentre tutto il resto sarebbe invenzione, fantasia. 

Orbene, anche se può sembrare paradossale, il materialismo ontologico si fa esso stesso metafisica (e anti-scienza!) quando pretende di fornire una conoscenza totale della realtà, trascendendo i confini che gli sono propri. 

In ogni caso, secondo il materialismo ontologico evoluzionistico la potenza avrebbe la priorità sull’atto, il divenire sarebbe il primo principio motore di tutte le cose. Questo divenire sarebbe però un motore che esiste allora solo in potenza, quindi qualcosa (non un ente, non una sostanza, ma un processo) di imperfetto, manchevole pressoché di tutto, e che per raggiungere quel qualcosa che non possiede ha necessità di sottoporsi a una indistinta legge superiore che è quella del divenire stesso. Il divenire, perciò, dovrebbe sottoporsi alla legge del divenire per poter evolvere. Ma chi avrebbe mai stabilito le regole del gioco, la fecondità, la “logica” di questo divenire? Il divenire dovrebbe funzionare come un processo intelligente capace di portare a concretezza le potenzialità intrinseche della materia. Un processo intelligente e fecondo, ma senza Intelligenza! Un progetto senza ingegnere. Un disegno senza disegnatore. 

Ma se al di là dell’Universo non esistesse un’Intelligenza trascendente, perfetta, immutabile e necessaria; se tutto ciò che esiste fosse contingente, allora non potrebbe esistere l’Universo odierno, poiché da un principio totalmente imperfetto, instabile, lacunoso – e che dall’eternità sarebbe lacunoso e imperfetto! – non può derivare una realtà ordinata e armonica. Dal nulla assoluto, che è negazione totale di tutto, non potrebbe mai derivare alcunché; affinché qualcosa “emerga”, sia attraverso una singolarità o una fluttuazione quantistica, devono comunque esistere delle regole che permettono lo sviluppo dei processi fisico-materiali, deve esservi una raccolta di perfezione (informazione?) sufficiente per dar vita al Cosmo, alla vita, alla natura così ordinata e bella…   E se anche si obiettasse che il mondo della meccanica quantistica è tutt’altro che ordinato eppure esiste, ebbene potremmo rispondere guardando con ancora maggior meraviglia a quel Disegno che permette al microcosmo e al macrocosmo di coesistere, generando quello spettacolo che vediamo attorno a noi e, soprattutto, alzando gli occhi alla volta celeste in una notta buia e serena.

Di Mauro Stenico.

Bibliografia

ARISTOTELE
2000 Metafisica. Milano: Bompiani.

CAROSI, Paolo
1959a Corso di filosofia. 1: Introduzione e gnoseologia. Roma: Edizioni Paoline.
1959b Corso di filosofia. 2: Ontologia: Ente in genere e ente finito. Roma: Edizioni Paoline.
1959c Corso di filosofia. 4: Ontologia: Dio. Roma: Edizioni Paoline.

MEYER, Stephen C.
2021 Return of the God hypothesis. Broadway, New York: HarperCollins Publishers.

D’AQUINO, TOMMASO
1996 Somma teologica. Bologna: Edizioni Studio Domenicane.

Fotografia: Vittorio Ricci

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