La psiche e la crisi del riduzionismo materialista

È lo specialista tedesco Kurt Koffka (1886-1941) a cogliere il cuore del fallimento di quello che può a ben diritto essere definito «riduzionismo materialista» in psicologia (1):

“La soluzione materialista è sorprendentemente semplice. Dice: l’intero problema è illusorio. Non esistono tre tipi di sostanza o modi di esistenza, la materia, la vita e la mente: ce n’è uno solo, ed è la materia, composta da atomi ciecamente vorticosi che, a causa del loro grande numero e del lungo tempo a loro disposizione, formano ogni sorta di combinazioni, e tra queste quelle che chiamiamo animali ed esseri umani. Il pensiero e il sentimento, perché, sono solo movimenti di atomi… Questa visione non è solo una convinzione scientifica, ma anche, o ancor più, un credo e un desiderio. È la rivolta di una generazione che ha visto una chiesa fortemente radicata aggrapparsi a dogmi che la scienza, crescendo come un giovane gigante, aveva schiacciato – una generazione che, grazie al successo delle applicazioni della scienza ai problemi tecnici, era diventata vanagloriosa e aveva perso quel sentimento di soggezione che dovrebbe accompagnare tutta la vera conoscenza. Come i barbari vittoriosi, siano essi vandali o calvinisti, distruggevano a fondo e con passione le creazioni più care ai nemici sconfitti, così i nostri materialisti svilupparono un odio per quelle parti della filosofia umana che andavano oltre le loro ristrette concezioni. Essere chiamato filosofo era un insulto, ed essere un credente significava appartenere agli Intoccabili”.

Altrettanto valide sono le critiche di Koffka al darwinismo: «Potremmo facilmente cadere nella trappola della spiegazione teleologica, guardando al risultato della comunicazione e usando questo risultato come causa del processo. Dire: un certo processo avviene perché è biologicamente utile, sarebbe il tipo di spiegazione da cui dobbiamo guardarci. Infatti, il vantaggio biologico di un processo è un effetto che deve essere spiegato dal processo, ma il primo non può essere usato per spiegare il secondo. Il concetto di vantaggio biologico, invece, non appartiene affatto alla dinamica. E quindi le spiegazioni teleologiche in termini di vantaggio biologico non trovano posto nella teoria della Gestalt», laddove con il tedesco «Gestalt» traduce il concetto di «forma» o di «rappresentazione» e con «psicologia della Gestalt» la storia della scienza indica una corrente che, nata agli inizi del secolo XX in Germania, si incentra sui temi di percezione ed esperienza.

I neuroscienziati si rivelano infatti riduzionisti, e principalmente monisti. La formulazione classica del monismo materialista implica che corpo e mente siano la stessa cosa. La teoria dell’identità postula una corrispondenza completa tra mente e corpo: gli stati o i fenomeni mentali, come per esempio provare dolore o vedere un colore rosso, non sarebbero, cioè altro che eventi neurali dipendenti dall’attivazione di neuroni specifici, di strutture o di vie cerebrali. Gli eventi soggettivi debbono pertanto essere assimilati a quelli oggettivi che si manifestano a livello corporeo: per esempio la sensazione del dolore sarebbe un mero epifenomeno di un fatto neurobiologico. Di conseguenza, l’atteggiamento materialista interpretata la mente come nient’altro che un sottoprodotto dell’attività cerebrale.

Del resto, persino alcuni tra i più noti rappresentanti del fisicalismo, ovvero dell’atteggiamento neopositivista che cerca di tradurre tutte le scienze nella sola fisica, mettono però in guardia dal riduzionismo.

Secondo il filosofo statunitense Mark Johnson, «[n]essun singolo metodo di indagine potrebbe mai catturare tutto ciò di cui abbiamo bisogno per aiutarci a comprendere i fenomeni strettamente intrecciati di corpo, significato e mente. Per esempio, a meno che gli esseri umani come specie non perdano un giorno la loro capacità di coscienza, non rinunceremo mai al livello fenomenologico di spiegazione. Come minimo, definiremo molti dei fenomeni primari della mente sulla base della nostra esperienza del corpo e del mondo. Di conseguenza, l’adeguatezza delle spiegazioni di altri livelli (come i resoconti delle neuroscienze cognitive) sarà giudicata, in parte, in base a quanto ci aiutano a comprendere i fenomeni così descritti (cioè il corpo fenomenologico). Cos’altro potremmo aspettarci, visto che tutte le spiegazioni sono spiegazioni a e per noi stessi, orientate ad aiutarci a comprendere il nostro mondo? Esse saranno necessariamente valutate da noi in relazione alle nostre capacità corporee di creazione di significato, di indagine e di pensiero» (2) .

Nondimeno il biologo italiano Alberto Oliverio osserva: «I neuroscienziati hanno puntato a chiarire la natura dei diversi meccanismi del cervello, ma hanno prestato meno attenzione ai modi in cui essi cooperano e a quelle interazioni attraverso le quali emerge una mente che non deriva dalla semplice somma di singole attività che sono separate in compartimenti stagni . Pur descrivendo i meccanismi emotivi, i neurotrasmettitori che ne sono alla base, i centri nervosi coinvolti, i neuroscienziati non si sono concentrati sugli aspetti classici delle emozioni: il loro significato, le loro relazioni con le esperienze lontane, il modo in cui le emozioni contribuiscono a dare un senso alla nostra esistenza, a dirigere i nostri scopi, a strutturare i nostri schemi di pensiero. Per questi motivi, sebbene alcune teorie della mente tengano conto dei risultati derivanti dalle conoscenze neuroscientifiche, la mente a cui guardano filosofi e psicologi è solitamente diversa da quella descritta dai neuroscienziati. Nonostante i progressi delle neuroscienze – o forse proprio a causa di essi – sembra persistere il contrasto tra il mondo dell’oggettività e quello della soggettività, il mondo dei meccanismi e quello dei significati» (3).

La dinamica proposta dalla fisica mainstream può insomma essere concepita come un processo unidirezionale, dal basso verso l’alto: il sistema nervoso, a livello più alto, produrrebbe le proprietà mentali e la mente come entità separata potrebbe dunque nemmeno esistere.

Questa ipotesi, tuttavia, sia che il rapporto cervello-mente venga interpretato come identità, sia che esso venga inteso come relazione causale, sembra già meno convincente quando si considerino il dolore o l’angoscia mentale: nel caso di una persona che soffre per ciò che le è accaduto, qualsiasi modifica neurobiologica sarà secondaria.

A questo livello, il suddetto processo unidirezionale dal basso verso l’alto prende ad assumere invece la forma di un processo bidirezionale, in cui anche la componente inversa, dall’alto vero il basso, deve essere presa in considerazione. Si potrebbe quindi constatare che la mente, una volta creata dall’attività cerebrale, abbia vita propria, in qualche modo indipendente. La mente interagirebbe con se stessa e in qualche modo il prodotto di tale attività si riverserebbe sulla struttura fisica che è causa dell’avvio del processo stesso.

In questo modo si avrebbe una spiegazione migliore di alcuni fenomeni psicofisici che oggi sono invece fuori dalla portata della spiegazione fisicalista convenzionale. Tra questi vi sono quei fenomeni che esercitano influenza estrema sulla psicofisiologia, incompatibili con i percorsi anatomici e fisiologici conosciuti, come per esempio le stigmate, le vesciche ipnotiche o altri segni cutanei dalle forme specifiche indotti dalla suggestione o dall’immaginazione; anche le impressioni materne; e pure l’influenza mentale che si esercitata a distanza sui sistemi viventi. E ancora: le esperienze mistiche che trasformano la vita, in forma sia estroversa sia introversa, e le loro connessioni con la creatività di livello geniale, i fenomeni “psi” e le NDE che si verificano in condizioni fisiologiche estreme. Non senza scordare i fenomeni centrali della vita mentale cosciente quotidiana delle persone, tra cui l’attribuzione di significato, l’intenzionalità e la coscienza con le proprie caratteristiche intrinseche di unità, di contenuto qualitativo o fenomenico e di punto di vista soggettivo.

Questo concetto (la mente che interagisce con se stessa e con la struttura che la produce in una direzione bidirezionale) è tutt’altro che ingenuo e perfettamente compatibile con gli sviluppi più recenti della fisica. A questo proposito, il fisico quantistico statunitense Henry Stapp ha proposto una soluzione sistematica che utilizzi le implicazioni della fisica quantistica nell’ipotesi mente-cervello. Secondo Stapp, continuano a esistere processi meccanici dal basso verso l’alto e ad azione locale come il processo di esocitosi in cui le molecole di neurotrasmettitore vengono rilasciate nella fessura sinaptica, ma questi ora assumono la forma prescritta dalle generalizzazioni quantomeccaniche delle leggi della meccanica classica e incorporano tutte le incertezze implicate dai principi quantistici.

Sono quelli che il matematico e fisico ungherese naturalizzato statunitense John von Neumann definisce «Processo 2». Ora, operando da solo il «Processo 2» darebbe rapidamente origine a una vasta proliferazione di stati cerebrali possibili, esistenti simultaneamente in uno stato di potenzialità . Ciò che effettivamente accade, secondo il principio quantistico, è determinato almeno in parte da un altro processo, il «Processo 1», di carattere fondamentalmente diverso, che lo stesso von Neumann ha caratterizzato in modo specifico come derivante da, o che porta a, la mente umana, “la vita intellettuale interna dell’individuo” (4). Queste influenze sono completamente libere, nel senso che nulla le determina sul piano della fisica. La stessa coscienza, insomma, risulta necessaria per completare la dinamica quantistica.

In sintesi, secondo Stapp, l’attività mentale cosciente opera dall’alto verso il basso, e in modo intrinsecamente non locale, per selezionare o per imporre modelli di attività cerebrale oscillatoria su larga scala, quasi stabili, dalla moltitudine di modelli possibili generati dal «Processo 2». Questi tipi di modelli di attività globale corrispondono in modo naturale ai correlati neurali dell’attività mentale, come convenzionalmente concepita.

Il materialismo puro incontra qui difficoltà serie. Lo psichiatra statunitense Edward Kelly, a capo di un’équipe multidisciplinare nell’Università della Virginia di Charlottesville, ha approfondito l’argomento sul piano empirico, probatorio e teorico attraverso Irreducible Mind, del 2007, e Beyond Physicalism, del 2015. Sulla scia tracciata dallo psicologo britannico Frederic William Henry Myers (1843-1901), autore di La personalità umana e la sua sopravvivenza, del 1903, Kelly indica alcune direzioni di ricerca allargate onde includere fenomeni, finora relegati al campo della parapsicologia, che son o in realtà a pieno titolo annoverabili fra le pertinenze delle scienze psicologiche e psichiatriche. Le ipotesi devono essere adattabili per includere i fenomeni osservati e gli elementi potenzialmente significativi all’avanzamento della conoscenza specifica, e non devono essere utilizzate per escludere fenomeni che non si addicono al quadro di riferimento.

I progressi qualitativi della scienza nascono, sottolinea Kelly, non dall’osservazione dei fenomeni consueti, i quali rientrano già nell’ipotesi, ma di fenomeni eccezionali, insoliti, che esattamente per le proprie qualità, falsificano l’ipotesi tradizionale e portano a elaborarne una nuova. Analogamente a quanto avviene nel campo della fisica, dove alcuni fenomeni eccezionali hanno portato a superare la formulazione classica, scoprendo la realtà relativistica e quantistica, lo stesso ci si deve aspettare con lo studio della psiche. Nella sfera psichica si osservano, anche se raramente rispetto a quelli abituali, parecchi fenomeni che confutano e che falsificano l’ipotesi dominante sulle relazioni psiche-materia e persino sulla realtà stessa. Nascondere questi fenomeni, o metterli da parte sotto etichette svilenti, solo perché sono statisticamente rari e difficili da osservare, oppure per ottenere consenso facile, è ancora una scelta oggi maggioritaria. Il mainstream determina la fine della conoscenza se questa fine diventa il suo obiettivo.

Kelly, riferendosi agli esperimenti e alle osservazioni nel campo dei fenomeni “psi” raccolti sistematicamente in 130 anni dai ricercatori di parapsicologia sperimentale, afferma che «i fenomeni di base in questione implicano, per definizione, correlazioni che si verificano attraverso barriere fisiche che dovrebbero essere sufficienti, in base ai principi fisici attualmente accettati, a impedirne la formazione» (5) . Particolarmente sensazionali e difficili da eludere sono i fenomeni di macropsicocinesi riguardanti oggetti a misura d’uomo. È il caso di Giuseppe da Copertino (1603-1663), un frate francescano vissuto nel secolo XVII secolo, santo per la Chiesa Cattolica, che fu visto volare in estasi in ambienti chiusi e aperti per brevi e lunghe distanze e differenti altitudini, da migliaia di testimoni, tra cui il futuro papa Benedetto XIV (1675-1758). Questi, inizialmente ostile, si era interessato al fenomeno popolare con l’intento di squalificare il frate, ma, avendo assistito personalmente ai voli estatici, più tardi, da Pontefice, emise il decreto di beatificazione. Kelly riporta anche casi ancora più sensazionali e inquietanti, che sconvolgono le teorie mainstream, di «vera precognizione», cioè di apprensione diretta o non mediata di eventi futuri: «La cosa più significativa, a nostro avviso, sono i molti casi spontanei ben documentati che coinvolgono molteplici dettagli fattuali di basso livello che vengono registrati al momento dell’esperienza originale (che spesso assume la forma di un sogno insolitamente vivido o intenso) e che poi si verificano in modo verificabile in un punto lontano del futuro».

Lo studioso statunitense sostiene, inoltre, esistere «un’ampia serie di prove che suggeriscono direttamente la sopravvivenza post mortem, la persistenza di elementi della mente e della personalità dopo la morte corporea. … Di fatto possediamo una grande quantità di tali prove, molte delle quali di qualità molto elevata, ma sfortunatamente questo lavoro rimane praticamente sconosciuto al di fuori della ristretta cerchia di persone professionalmente coinvolte» Questa linea di ricerca deriva storicamente dagli studi sulla trance medianica: «Gran parte delle ricerche più importanti ruotano attorno a una mezza dozzina di persone di questo tipo che si sono dimostrate particolarmente brave a fornire, in condizioni ben controllate, informazioni dettagliate e accurate che sembravano provenire da specifiche persone decedute di cui non avrebbero potuto venire a conoscenza in alcun modo normale». Tra questi spicca il caso storico della medium statunitense Leonora Piper (1857-1950), scoperto nel 1885 da William James (1842-1910), il fondatore della psicologia scientifica americana.

L’area di ricerca sulla sopravvivenza post-mortem riguarda anche le cosiddette apparizioni, in cui il percipiente vede una figura, sente una voce, sogna o semplicemente percepisce la presenza di una persona cara nel momento in cui l’“agente” subisce una lesione grave o mortale in un luogo fisicamente lontano. Bob Rosenberg ha costruito sull’argomento un archivio di oltre 700 casi, molti dei quali annoverano documentazioni dettagliate, quali, le testimonianze di persone o di partner che hanno assistito all’evento, nonché dati clinici e giuridici. Sembra davvero difficile trascurare l’impatto di tutto ciò, rifugiandosi dietro una semplice negazione.

Nel 2009 lo neuroscienziato statunitense Christof Koch, che ha lavorato per 20 anni con Francis Crick (1916-2004), co-scopritore della struttura molecolare del DNA, ha letteralmente sconvolto la comunità scientifica, dicendosi convinto che la coscienza probabilmente non risieda esclusivamente nel cervello, ma sia una manifestazione essenziale della realtà. Questa visione, conosciuta dai filosofi come panpsichismo, trova oggi la massima espressione nell’ipotesi della coscienza formulata dal neuroscienziato Giulio Tononi, già collaboratore del Premio Nobel per la Medicina Gerald M. Edelmann, statunitense, esponente di spicco del materialismo, coautore del libro Un universo di coscienza. Come la materia diventa immaginazione, del 2000.

A partire dal 2004 Tononi ha delineato la cosiddetta «Integrated Information Theory» (ITT). Secondo questa prospettiva, «la coscienza è una proprietà fondamentale, come la massa e la carica. Ovunque ci sia un’entità con stati multipli, c’è una certa coscienza. È necessaria una struttura speciale (come il sistema nervoso umano) per raccogliere gran parte di essa, ma la coscienza è ovunque, è una proprietà fondamentale». Questa ipotesi, così distante dall’approccio puramente materialista, che fu anche suo, è ora oggetto di considerazione seria da parte del mondo delle neuroscienze, essendo basata su presupposti empiricamente quantificabili. Le implicazioni sono vaste: il valore matematico dell’informazione integrata in una rete, noto come “phi”, è maggiore di zero in ogni cellula vivente, in ogni circuito elettronico, persino in un protone composto da sole tre particelle elementari.

Fisici come lo statunitense John A. Wheeler (1911-2008) hanno gettato le basi per la comprensione di una realtà completamente nuova, in cui la materia, le leggi e le costanti fisiche della natura, ovvero dell’universo intero, vengono descritti meglio non se considerati oggetti fisici , bensì attraverso l’«elaborazione di un’informazione dinamica fondamentale».

La meccanica quantistica suggerisce dunque che, al livello più profondo della natura, l’universo fisico sarebbe interconnesso. L’informazione totale dell’universo potrebbe essere integrata in qualche senso profondo? L’universo è in qualche modo consapevole di se stesso ? Siamo noi stessi, con le nostre coscienze individuali separate e cooperative, il modo in cui l’universo è consapevole di se stesso, come ha affermato l’astrofisico statunitense Carl Sagan (1934-1996)?

Il mistero e lo stupore fanno parte della vita umana e accompagnano l’uomo in tutte le sue esperienze di trasformazione. Il riduzionismo materialista, invece, non fa altro che allontanare dalla verità.

Di Paolo Cioni

(1) Kurt Koffka K., Principles of Gestalt Psychology, trad. Ingl., Routledge, Londra 1935.
(2) Mark Johnson, The Meaning of the Body, The University of Chicago Press, Chicago 2007.
(3) Alberto Oliverio, Cervello, Bollati Boringhieri, Torino 2012.
(4) Henry Stapp cit. in Edward Kelly et alii, Irreducible Mind, Rowman and Littlefield, Boston 2007.
(5) E. Kelly et alii, op. cit.

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