Le idee hanno conseguenze – parte prima
Introduzione
Tutto quanto seguirà è la traduzione, commentata e non sempre letterale, di un prezioso articolo del dott. John West, vicepresidente del Discovery Institute, intitolato “Darwin’s three big ideas that impacted humanity” (2020), titolo che tradotto in italiano alla lettera suonerebbe “Le tre grandi idee di Darwin che hanno esercitato un impatto sull’umanità“. Probabilmente la traduzione italiana non è tanto efficace quanto il titolo suona in inglese, ragion per la quale vi ho preferito: Le idee hanno conseguenze.
In effetti, tesi centrale del lavoro di West è proprio il fatto che le idee abbiano conseguenze, e la teoria dell’evoluzione (darwinismo) intesa come Weltanschauung globale – filosofica e sociale, oltreché scientifica – è un complesso di idee e proposte che hanno esercitato notevoli risvolti sulla società e sulla concezione stessa dell’essere umano. Queste idee sono penetrate molto più in profondità nelle nostre credenze e nei nostri valori di riferimento di quanto possiamo ammettere.
Secondo il darwinismo tutti i viventi si sarebbero evoluti a partire da un precursore ancestrale semplice tramite un processo di selezione naturale che avrebbe agito mediante mutazioni genetiche casuali e ricombinazione di geni. Da qui diverse idee e conseguenze che ora esporremo. Naturalmente, non è necessario che chiunque accetti la teoria dell’evoluzione accetti per forze anche le predette conseguenze; certamente, tuttavia, la Weltanschauung darwiniana, presa in un certo modo, può favorirne l’accettazione e la successiva applicazione.
Prima idea: gli esseri umani non sono ‘unici’
Darwin stesso riconosce come la sua teoria degradi il valore degli argomenti a favore dell’uomo inteso come essere ‘unico’, cioè ‘speciale’, e scrive nel suo taccuino che «è assurdo parlare di un animale come superiore a un altro». Egli si lamenta del fatto che spesso si parli di quell’‘evento meraviglioso’ rappresentato dalla comparsa dell’essere intelligente, l’uomo. Questo soprattutto considerando come «la comparsa degli insetti con molteplici sensi [capacità sensibili] sia stata ben più meravigliosa» (cfr. Paul Barrett, Darwin’s notebook, 1987).
Molti scienziati darwiniani moderni (e non solo) enfatizzano come gli uomini siano allora soltanto una specie animale fra le altre:
- Il biologo Charles Zuker scrive che l’uomo è «nient’altro che una grande mosca» (Maggie Fox, art. Fly gene map may have many uses, scientists say, 23.03.2000, in Reuters).
- Il genetista Glen Evans afferma che «il verme rappresenta un essere umano assai semplice» (cfr. Fox).
- Un giornalista scientifico ha scritto che «non vi è molta differenza fra topi e uomo» (Patricia Reaney, art. Are you man or mouse? Check your genes, 04.12.2002, in Reuters).
- Morris Goodman, della Wayne State University, ha sostenuto che gli esseri umani sono «soltanto scimpanzé leggermente rimodellati» (Proceedings of the National Academy of Sciences, 10.06.2003).
- Il giornalista e politico John Derbyshire ha scritto che «la concezione legata alle idee darwiniane contraddice la nozione dell’eccezionalismo umano (…). Per i biologi moderni, ispirati a Darwin, noi [uomini] siamo semplicemente un altro ramo dell’albero della Natura» (art. What’s so scary about evolution?, 29.05.2008, in Taki’s Magazine).
Il filosofo Peter Singer ha dichiarato che Darwin «ha mostrato che siamo semplicemente animali. Gli uomini hanno a lungo immaginato di essere una parte ben distinta della Creazione, hanno immaginato che ci fosse una specie di linea di demarcazione magica fra Noi e Loro [gli animali]. La teoria di Darwin ha minato le fondamenta del modo complessivo occidentale di pensare la posizione della nostra specie nell’universo» (cfr. Johann Hari, art. Peter Singer: an interview, 07.06.2004, in The Independent).
Seconda idea: la Natura è il prodotto di un processo non-guidato
Darwin rimarca come la selezione naturale rappresenti un processo non-intelligente, cieco rispetto al futuro: «Non sembra esserci più progettazione [design] nella variabilità degli esseri organici e nell’azione della selezione naturale, che nella direzione in cui il vento soffia». La selezione naturale non può selezionare nuovi aspetti ‘in vista di’ un qualche obiettivo futuro [certo, perché è cieca!]: essa soltanto favorisce quei tratti o aspetti che sono più utili alla sopravvivenza in un preciso momento.
L’evoluzione è pertanto guidata dalla selezione naturale nella forma di un processo non-pianificato né guidato. Proprietà biologiche sorprendenti come l’occhio dei vertebrati, le ali delle farfalle, il sistema di coagulazione del sangue eccetera, non sono il risultato di uno sviluppo legato a un fine da raggiungere; ma sono invece sottoprodotti non-preventivati dell’interazione fra caso (mutazioni casuali) e necessità (selezione naturale). Per citare George G. Simpson, paleontologo di Harvard: «L’uomo è il risultato di un processo naturale, e senza scopo, che non lo aveva in mente» (The meaning of evolution, 1967). Nella concezione darwiniana, l’essere umano è allora un mero accidente della storia naturale, non il prodotto di un Creatore benevolo.
Terza idea: motore del progresso è l’estinzione di massa
Anziché affermare che le proprietà più notevoli degli esseri umani e degli altri viventi siano la manifestazione di un disegno intelligente, Darwin presenta la morte e la distruzione come nostre fattrici ultime. Alla fine di On the origin of species scrive: «Così, dalla guerra della natura, dalla carestia e dalla morte, direttamente deriva il più alto risultato che si possa concepire, cioè la produzione degli animali superiori». Da più di 150 anni queste tre idee darwiniane hanno plasmato principi e azioni in ogni sfera della vita: gruppi umani, medicina, ambientalismo, giustizia criminale, etica e religione.
Prima conseguenza: il razzismo darwiniano
Darwin non è affatto il primo razzista della storia; da questo punto di vista [secondo altri punti di vista no, come vedremo] è anzi molto più rispettabile di altri, in quanto si oppose alla schiavitù. Ciononostante, la sua teoria esercitò un’influenza potente sullo sviluppo del razzismo scientifico. Stephen Jay Gould ha scritto: «Gli argomenti per il razzismo potranno esser stati comuni anche prima del 1859 [anno di pubblicazione di On the origin of species], ma crebbero di parecchi ordini di grandezza a seguito dell’accettazione della teoria evoluzionistica» (Ontogeny and phylogeny, 1977).
Darwin ritiene che la teoria della selezione naturale valga da spiegazione scientifica del perché le diverse razze umane abbiano abilità differenti e del perché vi siano razze ‘superiori’ e ‘inferiori’. Orbene, le specifiche proprietà necessarie a un animale per sopravvivere si differenziano in base all’ambiente in cui vive; perciò non vi è ragione di supporre che la selezione naturale, agente su differenti popolazioni, produca gli stessi aspetti in ogni popolazione (razza). Ecco perché i darwinisti, fin dalla prima ora, si attendevano di trovare differenze nelle abilità o capacità delle diverse razze.
Darwin dichiara esservi anche differenze significative nelle facoltà mentali degli «uomini di razze diverse» (The descent of man). E non si fa scrupoli a indicare nei neri gli esseri umani più vicini alle scimmie. I sostenitori di Darwin seguirono questa impostazione. Ernst Haeckel (1834-1919), biologo e zoologo, uno dei più ferventi darwinisti in Germania, creò un diagramma dell’evoluzione umana per mostrare come lo scarto evolutivo fra l’umano ‘più elevato’ e l’umano ‘più basso’ fosse assai più ampio di quello fra l’umano più ‘basso’ e l’essere scimmiesco ‘più elevato’, e a questo umano ‘più basso’ furono attribuiti tratti africani.
L’idea che le razze non-bianche rappresentassero un regresso a stadi evolutivi inferiori era ampiamente condivisa nella comunità scientifica nel primo Novecento. Il biologo ed eugenista americano Charles Davenport (1866-1944), membro della National Academy of Sciences e uno dei fondatori della genetica moderna, era ossessionato dall’idea che alcune razze fossero ancora ‘bloccate’ agli stati evolutivi più bassi: «È possibile che in qualche paese si abbiano, viventi fianco a fianco, persone di intelletto avanzato, persone che hanno ereditato l’intelletto dei loro antenati della prima Età della Pietra e persone di stadio evolutivo intermedio» (manoscritto Scientific cooperation with nature: eugenics).
Il razzismo darwiniano svolse un ruolo importante nella giustificazione di uno dei primi genocidi del XX secolo. Dal 1904 al 1908 l’esercito tedesco tentò di sradicare il popolo Herero dall’Africa Tedesca del Sud-Ovest (l’odierna Namibia). Il 2 ottobre 1904 il generale Lothar von Trotha (1848-1920) diramò un [letteralmente!] ordine di sterminio (Vernichtungsbefehl): gli Herero avrebbero dovuto abbandonare immediatamente l’Africa Tedesca del Sud-Ovest o affrontare l’estinzione: «Io, generale dell’esercito tedesco, invio questa lettera agli Herero. Essi non sono più sudditi tedeschi. Hanno ucciso, derubato, tagliato le orecchie e altre parti del corpo a soldati feriti, e ora sono troppo codardi per continuare a combattere. Annuncio alla popolazione che chiunque mi consegnerà un loro capo riceverà 1000 marchi (…). Il popolo Herero deve lasciare il paese. Se non lo farà, lo costringerò col cannone. Ogni Herero che sarà trovato all’interno dei confini tedeschi, con o senza un’arma, con o senza bestiame, verrà ucciso. Non accolgo più né donne né bambini: li ricaccerò alla loro gente o farò sparare loro addosso. Queste sono le mie parole per il popolo Herero».
Poi ordinò l’attacco e fu una strage: esecuzioni, stupri, violenze inaudite; furono costruiti campi di concentramento e condotti esperimenti medici criminali. Già nel 1905 erano rimasti 25.000 Herero nell’Africa Tedesca, ma prima del genocidio erano quasi 100.000. I tedeschi morti nelle battaglie furono circa 1.500. Von Trotha giustificò lo sterminio con un richiamo esplicito al darwinismo sociale: disse a un giornale che i sentimenti umanitari non potevano annullare le leggi di Darwin, la competizione per il più adatto (cfr. Richard Weikart, From Darwin to Hitler, 2004).
Nel frattempo, negli USA migliaia di indigeni provenienti da tutto il mondo furono trasformati in oggetti d’esibizione nel corso della Fiera Mondiale di S. Louis, nel Missouri (1904), all’interno dei cosiddetti ‘zoo umani’. Chi veniva esibito ‘rappresentava’ gli stadi più bassi dell’evoluzione umana. Nel 1906 nello Zoo del Bronx di New York fu esposto l’africano Oto Benga, messo in una gabbia con una scimmia a rappresentare l’anello evolutivo mancante fra uomo e scimmia. Preso dalla depressione e dal dispiacere di non poter più tornare in Africa – anche perché nel frattempo era scoppiata la Grande Guerra – Benga si suicidò nel 1916.
Entro la fine degli anni Venti furono emanate restrizioni sull’immigrazione in collaborazione con i biologi darwiniani, che raccomandarono di tener presente che alcune razze erano inferiori, nella scala evolutiva, e che dovevano allora essere tenute fuori dai confini nazionali. Nel 2007 il Nobel James Watson affermò che i neri sarebbero biologicamente inferiori ai bianchi e suggerì che l’evoluzione spiegasse tale inferiorità biologica.
Seconda conseguenza: l’eugenetica darwiniana
Uno dei maggiori ambiti di impatto del darwinismo fu il campo della medicina. Tale impatto prese il nome di ‘eugenetica’, intesa dai suoi sostenitori come l’auto-direzionamento dell’evoluzione umana. L’origine dell’eugenetica è intimamente legata alla teoria di Darwin. Se nel darwinismo l’uomo ha acquisito le proprie straordinarie abilità non in forza del progetto di un Essere intelligente, ma di una selezione naturale senza pietà che estirpò ogni forma di debolezza e non-adattamento, per gli eugenisti darwiniani l’umanitarismo comportava problemi vari per le società civilizzate: in nome del principio umanitario, le società civilizzate si prendevano infatti cura di coloro dei quali la Natura si sarebbe certamente sbarazzata. E questo, a loro dire, avrebbe avuto conseguenze negative.
In The descent of man (1871) Darwin critica la società moderna per aver interrotto quel ‘processo di eliminazione’ della selezione naturale offrendo asili e ripari per le persone mentalmente disabili, per gli invalidi, per i malati gravi, nonché programmi di assistenza per i poveri. Non sarebbe stato giusto fornire farmaci contro il vaiolo ai più deboli, perché questo avrebbe permesso di sopravvivere a migliaia di persone di costituzione debole che in natura, lasciate a sé, sarebbero di sicuro perite: «Così, i membri deboli delle società civilizzate propagano il loro genere. Nessuno di coloro che si sono dedicati all’allevamento degli animali domestici dubiterà che questo può essere altamente pericoloso per la razza umana (…). A eccezione del caso dell’uomo stesso, difficilmente si può essere così ignoranti da permettere ai suoi peggiori animali di riprodursi (…). Dobbiamo quindi sopportare l’effetto, indubbiamente cattivo, del fatto che i deboli sopravvivano e propaghino il loro genere; ma si dovrebbe almeno arrestarne l’azione costante, impedendo ai membri più deboli e inferiori di sposarsi liberamente come i sani». Ciò che ci muove alla cura del prossimo è quell’instinct of sympathy cresciuto nel corso del tempo e divenuto sempre più raffinato e diffuso.
Pare che Darwin fosse interiormente lacerato dalle implicazioni della sua stessa opera, e forse supponeva che nessuno avrebbe mai nutrito così poca empatia verso il prossimo da voler seguire la sua teoria fino alle sue più logiche conclusioni. In effetti, molti dei suoi sostenitori aborrivano l’idea di adottare la legge della giungla e vollero sviluppare un sistema più ‘morbido’ per imitare la selezione naturale attraverso la scienza moderna: questa l’essenza e l’obiettivo dell’eugenetica.
Francis Galton (1822-1911), cugino di Darwin, è riconosciuto come il fondatore ufficiale dell’eugenetica e fu lui a coniare il termine in questione, che dal greco indica il ‘ben nato’. L’eugenetica ‘positiva’ incoraggia i ‘più adatti’ alla sopravvivenza a riprodursi di più; la ‘negativa’ tenta di limitare la riproduzione dei ‘non-adatti’, comprese le disabilità mentali. L’eugenetica fu subito difesa dai più eminenti scienziati del mondo. Negli USA ricevette il sostegno di biologi di Harvard, Princeton, Yale, Columbia, Stanford e dalla National Academy of Sciences.
Oggi le radici darwiniane dell’eugenetica tendono a venir minimizzate, ma erano ben esplicite nei lavori di costoro. Il genetista di Harvard Edwar East affermava che «i principi eugenici sono corollari stretti della teoria dell’evoluzione organica» (Heredity and human affairs, 1927). Il biologo di Princeton Edwin Conklin scriveva che l’eugenetica era un modo per bypassare la violazione, da parte della società moderna, della selezione naturale, ovvero «la grande legge dell’evoluzione e del progresso» (art. Value of negative eugenics, 1915).
L’impatto dell’eugenetica sulla politica pubblica americana fu esteso, e incluse l’emanazione di leggi stabilenti chi si potesse sposare e chi no, restrizioni immigratorie per razze considerate inferiori, sterilizzazione forzata dei ‘meno adatti’. Così, negli USA vennero sterilizzate 60.000 donne contro lo loro volontà e in nome dell’eugenetica. Il movimento eugenetico tedesco portò alla sterilizzazione di centinaia di migliaia di persone e all’omicidio di 300.000 disabili bambini e adulti, molti di essi nelle camere a gas. In questi omicidi ‘eugenici’ dei disabili, i nazisti svilupparono metodi di omicidio usati anche successivamente. Quando l’opinione pubblica apprese le atrocità naziste, l’eugenetica darwiniana venne fortemente screditata. Ma il darwinismo continuò e continua a influenza il dibattito bioetico.
(Traduzione di Mauro Stenico, autorizzata dall’autore John West).
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