Genomi dinamici, stasi morfologica e l’origine della complessità irriducibile

Proponiamo di seguito ai nostri lettori, in esclusiva assoluta del CIID, una traduzione in italiano di una pubblicazione scientifica intitolata “Dynamic genomes, morphological stasis, and the origin of irreducible complexity” del Dott. Wolf-Ekkehard Lönnig.

Lönnig è uno scienziato tedesco, uno dei massimi esperti mondiali di biologia e genetica delle piante e delle loro mutazioni: dopo 7 anni all’Istituto di Genetica dell’Università di Bonn, ha studiato per altri 25 anni lavorando come capo ricercatore presso l’Istituto Max Planck di Colonia per la Ricerca sul Miglioramento Genetico delle Piante Coltivate.

Ha effettuato approfondite ricerche nell’ambito della genetica e studi nel campo della fisiologia e della morfologia delle piante.

Ecco di seguito il suo imponente curriculum vitae e l’elenco delle sue pubblicazioni:

www.weloennig.de/CurriculumVitae.pdf

www.weloennig.de/literatur1a.html

Il Dott. Lönnig ha autorizzato il CIID alla traduzione del suo articolo, che ci ha personalmente suggerito come tra i più peculiari del suo lungo elenco rispetto alla teoria dell’Intelligent Design.

L’affascinante argomentazione del Dott. Lönnig evidenzia i vari fattori che rendono il codice della vita, il DNA, estremamente dinamico e li confronta con quello che a suo modo di vedere – ma in buona compagnia con eminenti esponenti della scienza biologica mondiale – risulta essere un paradosso, ovvero la prolungata “stasi” delle forme degli esseri viventi nel corso della storia della vita sulla terra: tutto ciò viene confrontato criticamente con la struttura teorica dell’ID, portando il lettore a importanti e inevitabili conclusioni.


Genomi dinamici, stasi morfologica e l’origine della complessità irriducibile

Wolf-Ekkehard Lönnig

Max-Planck-Institut for Plant Breeding Research, Carl-von-Linné-Weg 10 50829 Cologne, Germany

Sinossi

Nonostante l’enorme quantità di flusso genetico nelle piante e negli animali, si ritiene che i processi genetici di base e i principali tratti molecolari siano rimasti sostanzialmente invariati per più di tre miliardi e mezzo di anni mentre i meccanismi molecolari dell’ontogenesi animale lo siano stati per più di un miliardo e mezzo di anni. Inoltre, la sistematica si basa su caratteri praticamente costanti nello spazio e nel tempo, altrimenti questo importante ramo della biologia non sarebbe possibile. La documentazione fossile mostra uno schema regolare di improvvise comparse di nuove forme di vita (invece della loro apparizione attraverso innumerevoli piccoli passi), seguito dalla costanza di caratteri sistematici superiori, spesso dal livello del genere a salire, in molti casi seguiti da un’altrettanta brusca scomparsa delle forme di vita principali estintesi dopo diversi periodi di tempo. Come ha recentemente ammesso il decano della teoria sintetica, Ernst Mayr di Harvard, questa costanza (stasi) delle forme di vita di fronte a genomi tremendamente dinamici è uno dei maggiori problemi della biologia evolutiva contemporanea ed esige una spiegazione. In accordo con diversi ricercatori, mi riferisco ad argomenti e fatti a sostegno dell’opinione che la complessità irriducibile (Behe) combinata con la complessità specificata (Dembski) caratterizzano i sistemi biologici di base e che queste ipotesi potrebbero indicare una soluzione non gradualistica del problema.

Introduzione

Fino agli anni Cinquanta del secolo scorso si immaginava che il genoma fosse costituito da geni piuttosto autonomi posizionati su cromosomi come perle su un filo, a specificare lo sviluppo dell’organismo sulla base della loro posizione fissa. Inoltre, attraverso mutazioni relativamente poco frequenti, i geni potevano produrre alleli, fornendo così la base per l’evoluzione nelle popolazioni mendeliane. Un’ulteriore variazione per l’evoluzione era garantita da mutazioni cromosomiche altrettanto rare, sia piccole che estese, che avrebbero riorganizzato i geni mediante duplicazioni, inversioni e traslocazioni (comprendendo effetti di posizione variabile delle funzioni dei geni), nonché mediante moltiplicazioni di singoli cromosomi (trisomia) o di interi insiemi di cromosomi (poliploidia).

Nonostante la variazione ritenuta necessaria per l’evoluzione, il messaggio complessivo era quello di geni piuttosto costanti in un genoma complessivo abbastanza costante, tanto che, quando Barbara McClintock, all’inizio degli anni ’50, propose a un pubblico più vasto i suoi primi lavori sulla scoperta degli elementi trasponibili (ETi) come parti di genomi evidentemente molto più dinamici, il suo lavoro fu o ignorato o accolto con “perplessità” o, in alcuni casi, persino con “ostilità” (per ulteriori dettagli, vedi [3, 4, 46, 69]).

Per quanto riguarda l’interrogativo sull’origine delle specie e delle categorie sistematiche superiori, compresi gli esseri umani, la visione genetica dominante degli anni Cinquanta del secolo scorso prevedeva una modalità pervasiva, lenta, continua e graduale di evoluzione nel senso definito da Darwin circa 100 anni prima. Egli aveva proposto la sua teoria in termini di selezione di “innumerevoli leggere particolarità”, “gradazioni non maggiori di quelle che separano le leggere varietà”, “gradazioni insensibilmente leggere”, “perché l’elezione naturale non può agire che approfittando delle piccole variazioni successive; essa non può mai fare un salto, ma deve procedere per gradi corti e lenti ” [16, 17]. Questo punto di vista è diventato anche parte integrante della moderna sintesi o teoria sintetica dell’evoluzione, nata alla fine degli anni Trenta e all’inizio degli anni Quaranta del secolo scorso [24, 58] e che ancora oggi domina la teoria [18, 36, 37, 37, 53, 46, 65-67, 83]. Tuttavia, secondo la moderna teoria sintetica dell’evoluzione, le gradazioni insensibilmente leggere di Darwin sono causate da “mutazioni con effetti sul fenotipo lievi o addirittura invisibili” [66], invece che dalle “mutate condizioni di vita” che Darwin ha assunto per la produzione di effetti ereditari.

Un’inversione delle idee precedenti sulla costanza del genoma si è verificata solo negli anni Sessanta del secolo scorso, quando la struttura e la regolazione genica sono state più profondamente chiarite (modello Jacob-Monod, sequenze di inserzione batteriche e resistenza agli antibiotici codificata da trasposoni). Quando la biologia molecolare è progredita ulteriormente verso la clonazione e il sequenziamento di geni eucariotici, il disinteresse, la perplessità e l’ostilità degli anni Cinquanta del secolo scorso si sono rapidamente trasformati in approvazione e riconoscimento dei meriti di McClintock, culminati nel 1983 con il Premio Nobel per la Fisiologia/Medicina – un premio Nobel, per così dire, per la scoperta dei “genomi dinamici”. Inoltre, ciò ha costituito un nuovo impulso per molti gruppi di ricerca in tutto il mondo a concentrare o espandere il loro lavoro non solo sugli elementi trasponibili, ma anche su una serie di ulteriori aspetti dinamici dei genomi nel regno vegetale e animale, la maggior parte dei quali sono brevemente menzionati qui di seguito. Per quanto riguarda la domanda se questa trasformazione di idee da un genoma complessivo piuttosto costante a un genoma fortemente dinamico possa aver avuto conseguenze sulle teorie relative all’origine delle specie, torneremo su questo punto cardine con il sottotitolo “Nuovi temi di ricerca (f)”.

Genomi dinamici

I paragrafi che seguono presentano un breve promemoria che enumera la maggior parte dei diversi aspetti dei cambiamenti genomici finora conosciuti, seguito da alcune semplici spiegazioni illustrative:

1) Mutazioni geniche; tasso medio 10^-5 per gene per generazione. Per l’attuale generazione di esseri umani, questo significa che ogni gene è mutato ricorrentemente più di 100.000 volte (più di 6,2 miliardi di individui, circa 30.000-40.000 geni).

2) Trasposoni – attivi e dormienti (tasso di trasposizione in geni funzionali fino a 10^-2 per generazione); quasi l’80% della massa complessiva di DNA del genoma del mais sembra essere costituito da sequenze derivate da trasposoni, il 90% in Vicia faba, il 45% in Homo sapiens (per citare solo alcuni dei tanti altri spettacolari esempi) [3, 4, 9, 40, 46, 46, 50, 61-64, 79, 87]. Attualmente è in atto una vivace discussione tra i biologi sulla possibilità che la maggior parte di queste sequenze costituiscano davvero DNA “spazzatura” e quanto possano essere di valore funzionale [34, 84].

3) Elementi ripetitivi; rilevati negli eucarioti, la loro lunghezza varia da decine a migliaia di basi. La frazione altamente ripetitiva (5-100 bp) viene ripetuta fino a 10^6 volte e consiste in una semplice sequenza di DNA (eterocromatina costitutiva, specialmente raggruppata vicino alle estremità dei cromosomi e al centromero). La frazione ripetitiva media è costituita da 100-500 bp, che si verificano da circa 100 a circa 10.000 volte in un genoma (per esempio nei geni per la codifica del RNA ribosomiale, del RNA di trasferimento e degli istoni) [30, 45, 71].

4) Pseudogeni; un derivato di un gene eucariotico funzionale che si pensa sia prodotto dalla trascrizione inversa del RNA messaggero e che generalmente si suppone non sia funzionale a causa di riarrangiamenti, mutazioni puntiformi svantaggiose (che producono, per esempio, codoni di stop) e assenza di sequenze di promotori, introni e intensificatori. Tuttavia, alcune eccezioni funzionali sono state recentemente rilevate [2, 34, 39, 43].

5) Duplicazione e amplificazione genica; si pensa che sia fino a 20 volte più frequente delle mutazioni geniche [56]; fino al 10% delle cellule nelle colture di tessuti animali e umani possono avere amplificazioni geniche [49, 50].

6) Paradosso del valore C; a causa dei cambiamenti indotti dai trasposoni e da altri cambiamenti nella massa del DNA, le quantità di DNA nei genomi aploidi di specie strettamente imparentate, possono differire enormemente l’una dall’altra (le specie del genere Vicia, per esempio, variano tra 1,8-13,3 pg) [72, 73]. Ma anche all’interno della stessa specie vegetale non poliploide il valore C può variare notevolmente, anche se si è dimostrato che alcuni esempi originari di questo fenomeno erano dovuti a problemi tecnici [8].

7) Amplificazione del gene e del genoma nello sviluppo ontogenetico; l’amplificazione del rDNA nello Xenopus è uno degli esempi principali: nella sua ovogenesi i 500 geni rDNA sono replicati 4.000 volte, risultando in 2.000.000 di copie; l’amplificazione genica si ritrova anche in alcuni insetti e protozoi [45]. D’altra parte, l’amplificazione del genoma si verifica regolarmente in tessuti speciali di molti organismi (per esempio nelle cellule del fegato dei mammiferi e nel tessuto tapetum delle angiosperme).

8) Riarrangiamenti dei cromosomi: comprendono qualsiasi modifica strutturale di un cromosoma che comporta delezioni, duplicazioni, inversioni e traslocazioni. Oltre ad alcune caratteristiche morfologiche, molte specie vegetali e animali strettamente correlate possono anche essere contraddistinte da riarrangiamenti cromosomici più o meno ridotti [64].

9) Orologi molecolari: un tempo si credeva che le sostituzioni nucleotidiche e aminoacidiche si verificassero così regolarmente da poter stabilire un orologio molecolare che misurasse il tempo di divergenza tra i diversi gruppi di piante e animali. Anche se l’orologio sembra funzionare spesso in modo molto irregolare, non c’è dubbio che molte sostituzioni dovute a mutazioni puntiformi si sono verificate nelle specie e tra le specie. Nell’uomo il tasso di sostituzione è risultato essere più veloce nei mitocondri che nel nucleo [32, 33].

10) Spinta molecolare: secondo Gabriel Dover, una modalità coesiva di evoluzione delle “specie” rilevante per molte famiglie di geni e sequenze non codificanti, forse come conseguenza di meccanismi molecolari di ricambio all’interno del genoma [25, 26].

11) Genotrofi del lino: diverse forme di lino (Linum usitatissimum) generate da un processo di cambiamenti indotti dall’ambiente nei genomi del lino, che “non sembra essere la generazione di una variazione casuale”. Cullis et al. suppongono che i cambiamenti ereditabili in questa specie siano dovuti a specifiche riorganizzazioni in distinte posizioni del genoma. È stato dimostrato che le sequenze altamente ripetitive, medio-ripetitive e a basso numero di copie sono tutte coinvolte nei polimorfismi rilevati, e sono state identificate alterazioni della sequenza di specifici sottoinsiemi di 5SrDNA [13, 14].

12) Metilazione: le metiltransferasi possono trasferire un gruppo metilico da una molecola donatrice di metile a un accettore (DNA, RNA, proteine). Potrebbe essere importante per la regolazione delle funzioni geniche nelle popolazioni naturali [12].

13) Shock genomici: B. McClintock ritiene che situazioni di stress estremo per i genomi (prodotti artificialmente, per esempio, dalla generazione di protoplasti e dalle colture di tessuti nelle cellule vegetali) conducano a una formazione di specie accelerata [69].

14) Rimescolamento degli esoni: si suppone che la ricombinazione degli esoni mediata da introni produca nuovi geni funzionali.

15) Espressione genica: grazie allo splicing alternativo e ai promotori alternativi, migliaia di isoforme proteiche possono essere generate da pochi geni [70].

Per ulteriori esempi di aspetti dinamici del genoma, si veda il presente volume (ricombinazione V(D)J, alleli VNTR, trasmissione orizzontale del DNA e altri).

Conservazione genetica

Avendo raggiunto la piena consapevolezza delle caratteristiche che specificano i genomi dinamici sopra menzionate, l’impressione generale che la maggior parte degli studiosi di genetica ha inevitabilmente acquisito potrebbe forse essere meglio espressa dalle parole attribuite al filosofo greco Eraclito di Efeso (dal 544 a.C. circa al 475 a.C. circa), descrivendo l’essenza della natura con il suo famoso verdetto: panta rhei, ouden menei (“tutte le cose fluiscono, nulla rimane”). Poiché quasi “tutto” nei genomi vegetali e animali sembra essere in un processo di flusso permanente, così che a lungo andare difficilmente ci si dovrebbe aspettare alcun carattere genomico (e il suo corrispondente morfologico) costante.

Quindi, essendo a conoscenza di queste informazioni di base presentate sul flusso genetico complessivo nella maggior parte delle pubblicazioni, delle recensioni e dei libri di testo [per esempio 30, 40, 85] di genetica, la seguente descrizione di alcuni ulteriori fatti genetici di base sembra essere assolutamente sbalorditiva.

Rapporto Lazcano e Miller [48]:

“Dopo l’esplosiva evoluzione metabolica avvenuta poco dopo l’inizio della vita, i processi genetici di base e i principali tratti molecolari sono rimasti sostanzialmente invariati per più di tre miliardi e mezzo di anni, forse a causa dei legami dei geni coinvolti e delle complesse interazioni tra i diversi percorsi metabolici. A livello macroevolutivo, questo rappresenta un caso di conservazione che colpisce ancora di più del mantenimento dei grandi piani strutturali che sono apparsi alla base del Cambriano e che sono rimasti sostanzialmente invariati per 600 milioni di anni”.

Inoltre, all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, una serie di scoperte nella biologia dello sviluppo di funzioni geniche assolutamente impreviste, costanti o quasi costanti, avevano portato a una catena di commenti che descrivevano lo straordinario stupore suscitato da queste scoperte. I pochi esempi che seguono possono trasmettere l’entità dello stupore, che all’epoca aveva conquistato la maggior parte delle menti della comunità biologica:

Shapiro concorda come segue [78]:

“Penso che sia stata una grande sorpresa quando si è scoperto che un clone di cDNA umano correggeva una mutazione del cdc nel lievito. Basta solo leggere News e Views in Nature per trovare molti esempi simili. Questa è stata davvero una sorpresa per la gente. Il grado di conservazione in funzione tra proteine di diversi organismi è qualcosa che era totalmente inaspettato”.

Ha anche menzionato il motivo per cui questa conservazione è stata così totalmente inaspettata:

“L’idea prevalente era che ogni specifico gene accumulerà molti cambiamenti per lunghi periodi di tempo e che questo era il modo in cui un organismo si trasformava in un altro”.

In maniera simile De Robertis ha commentato [20]:

“Si può dire che nessuno avrebbe previsto il grado di conservazione dei meccanismi molecolari che controllano lo sviluppo… I meccanismi molecolari che determinano l’asse antero-posteriore (A-P) sono stati conservati nell’evoluzione a un livello che va oltre le più rosee aspettative di chiunque…”.

Nüsslein-Volhard parla così di tali fatti [74]:

“Una grande sorpresa degli ultimi cinque anni è stata la scoperta di meccanismi di base molto simili, che coinvolgono geni e fattori di trascrizione simili, che operano nello [stadio] iniziale [dello] sviluppo in tutto il regno animale.”

Lewin ha illustrato il problema con l’esempio dei loci Hox [49]:

“La caratteristica più notevole dell’organizzazione dei loci Hox richiede ancora una spiegazione: perché l’organizzazione dell’ammasso, in cui la posizione genomica è correlata con l’espressione embrionale, è stata mantenuta in evoluzione?”

Successivamente ha discusso su diverse possibilità per rispondere alla domanda, ma ritiene che al momento non si possa dare una soluzione convincente.

Hultmark ha confrontato i vertebrati con gli insetti e ha commentato nel seguente modo in merito ad alcune somiglianze molecolari [42]:

“Gli insetti non assomigliano per niente ai vertebrati, e i loro sistemi organici sembrano essere costruiti su principi completamente diversi. Tuttavia, man mano che si comprende meglio il funzionamento di questi sistemi a livello molecolare, emergono somiglianze inaspettate. Tra di esse vanno ora annoverate le somiglianze nelle rispettive difese immunitarie, come riportato in due recenti pubblicazioni”.

Ancora più sconcertanti sono state le scoperte di somiglianze molecolari coinvolte nello sviluppo di presunte caratteristiche anatomiche completamente convergenti. Dopo un resoconto su numerose somiglianze molecolari all’interno dei vertebrati, Cohn e Tickle continuano [11]:

“Ancora più notevole è la conservazione delle molecole coinvolte nel modellamento delle ali degli insetti e degli arti dei vertebrati. Le molecole di segnalazione comuni ai vertebrati e agli arti della Drosophila includono Shh (hh), Wn 7a (wg) e Bmp (dpp). La recente scoperta che il pulcino LMX1 e il relativo gene apterous della Drosophila sono espressi dorsalmente nelle gemme delle ali e nei dischi immaginali è sorprendente”.

Nessun teorico della biologia evolutiva potrà mai far derivare il pollo e gli insetti da un antenato comune alato, eppure sequenze chiaramente correlate sono espresse specificamente nelle gemme delle ali e nei dischi immaginali.

Quindi, si pensa che i “processi genetici di base e i principali tratti molecolari” siano “rimasti sostanzialmente invariati per più di tre miliardi e mezzo di anni” e i meccanismi molecolari dell’ontogenesi animale per più di un miliardo di anni. Sullo sfondo dell’idea prevalente della teoria della sintesi (dagli anni Quaranta fino agli anni Novanta del secolo scorso) secondo la quale “ogni specifico gene accumulerà molti cambiamenti per lunghi periodi di tempo e che questo era il modo in cui un organismo si trasformava in un altro” (Shapiro), oltre a quella delle molte caratteristiche della genetica dinamica, come brevemente riassunto sopra (a partire dagli anni Sessanta e raggiungendo il suo culmine nei primi anni Novanta del secolo scorso), la scoperta della conservazione molecolare appena documentata è stata, in effetti, “del tutto inaspettata” (Shapiro) e ha infatti rivelato una costanza delle funzioni geniche “a un livello che va oltre le più rosee aspettative di chiunque” (De Robertis).

Fenomeni simili sono stato descritti anche nelle piante [90].

Ora, il fatto che così tante “vecchie caratteristiche” siano ancora con noi a livello molecolare ci porta quasi inevitabilmente alla domanda biologica di base, ovvero se ci sono allo stesso modo caratteristiche morfologiche costanti nel regno vegetale come in quello animale – punto che sarà l’argomento dei prossimi paragrafi.

Stasi morfologica

La costanza generale delle caratteristiche sistematiche rilevanti

Due dei grandi pionieri della botanica generale e sistematica, Augustin Pyrame De Candolle, e Christian Konrad Sprengel, hanno enfatizzato un punto quasi dimenticato nel nostro mondo evolutivo di oggi nel commentare quanto segue in merito ai caratteri fondamentali che distinguono specie e generi l’uno dall’altro [19] – e vorremmo invitare i nostri lettori a concentrare la loro attenzione soprattutto sull’uso dei termini “invariabile” (invariabilmente), “invariabilità” e “costante” nel paragrafo successivo:

“Con Specie (species)…intendiamo un certo numero di piante, che concordano tra loro in segni invariabili. In questo caso ogni cosa dipende dall’idea di invariabilità. Quando un organo, o una sua proprietà, non viene modificato né per differenza di suolo, né di clima, né di trattamento, né per allevamento continuativo, si dice che questo organo o questa proprietà è invariabile. Quando, per esempio, abbiamo osservato per secoli che la Centifolia ha sempre gli steli delle foglie disarmati, diciamo correttamente che questa proprietà delle Centifolia è invariabile… Quello che sappiamo è che fin dai tempi in cui la razza umana ha lasciato tracce della sua esistenza sulla terra, le diverse specie di piante hanno mantenuto invariabilmente le stesse proprietà… Tutte le proprietà delle piante che sono soggette a cambiamenti formano o una sottospecie (subspecies) o una varietà (varietas)… Per Genus si intende la somma delle specie che concordano in certe proprietà costanti delle parti essenziali… Il carattere generico (character genericus) è l’espressione dei segni peculiari e invariabili con cui un genere di piante si distingue da tutti gli altri… ogni carattere generico deve indicare brevemente e distintamente i segni comuni che appartengono invariabilmente a tutte le specie dello stesso genere… Il carattere generico delle piante superiori è preso in prestito solo dagli organi di fruttificazione”.

Poiché queste esposizioni sull'”invariabilità” nella sistematica hanno quasi 200 anni e sono state, infatti, pubblicate per la prima volta 40 anni prima dell’Origine delle Specie di Darwin nel 1859, passiamo direttamente ad alcuni commenti da parte della sistematica moderna sulle stesse domande. Centotrenta anni dopo Stace commenta in accordo con quasi tutti gli autori contemporanei [80]:

“Sebbene i fiori non siano più considerati “essenziali” e quindi non particolarmente importanti da un punto di vista tassonomico, essi forniscono ancora la maggior parte delle informazioni contenute nella diagnosi del taxa delle angiosperme. Questo perché in generale i fiori sembrano essere più conservativi della maggior parte degli altri organi”.

In un capitolo precedente Stace aveva già osservato che “Questa dipendenza dal fiore è notevole se si considera che la maggior parte delle angiosperme è quasi sempre priva di fiori”. Questo sembra essere vero anche per le strutture dei semi e dei frutti. Per quanto riguarda i caratteri sistematici chiave conservativi, egli sottolinea inoltre che “i caratteri vegetativi endomorfici sono più conservativi di quelli esomorfici” e continua a p. 183 del suo libro [80]:

“I caratteri conservativi sono… più utili nel delineare i taxa superiori, dove l’enfasi è sul riconoscimento della somiglianza tra i membri di un taxon”.

Eppure, per le specie e le categorie sistematiche al di sotto della specie, egli insiste sul fatto che i caratteri non conservativi sembrano dominare.

Considerando il cambiamento generale della sistematica negli ultimi 250 anni, Stace è molto probabilmente corretto nella sua analisi (il verdetto di Haeckel per la zoologia secondo il quale “le specie affini che erano state unite all’interno di un genere da Linné e all’interno di una famiglia da Cuvier, ora costituiscono un ordine inclusivo con diverse famiglie e molti generi” [41] – il che implica che molte delle specie di Linné sono state elevate alla posizione di generi durante gli ultimi secoli – è valido anche per la botanica; per ulteriori dettagli, si veda [53]). Si può quindi concludere che l’essenziale non è cambiato quasi per niente nella sistematica morfologica: i caratteri invariabili che delineano le specie e i generi secondo Linné, Cuvier, De Candolle, Sprengel e molti altri pionieri della sistematica sono diventati i caratteri conservativi che delineano i taxa superiori della sistematica moderna, compresi i generi definiti morfologicamente, le tribù e le famiglie di oggi.

Stasi delle categorie sistematiche nel tempo: alcuni esempi

Prendendo le descrizioni e le definizioni delle specie vegetali prodotte da Linné circa 250 anni fa nella sua Species Plantarum (1753) o delle specie animali nel suo Regnum Animale qualche anno dopo (Systema Naturae 1758), non abbiamo difficoltà a identificare le diverse specie oggi sulla base delle sue descrizioni [51, 52]. Lo stesso vale per i disegni e le descrizioni delle specie vegetali di Leonhard Fuchs (1542) [31], e Tabernaemontanus (1588/1590) [88] sul mais e molte altre piante. Inoltre, Cuvier non ha avuto alcuna difficoltà a identificare gli animali mummificati dell’antico Egitto che avevano diverse migliaia di anni (Cuvier, 1833) [15]. Eppure, i nomi delle specie e dei generi sono spesso evoluti eccessivamente, includendo quasi regolarmente da alcuni fino ad addirittura molti sinonimi.

Se da circa 250 a 500 o anche solo diverse migliaia di anni sono semplicemente nulla su una scala temporale evolutiva, che dire degli ultimi 2,3 milioni di anni della storia della vita in Europa? Secondo Lang, questa è caratterizzata da “tassi di evoluzione relativamente lenti” [47]; Lang continua: “Alla fine del Terziario gli organismi erano costituiti da specie, delle quali quasi tutti gli organismi possono essere assegnati ai generi attuali, con addirittura una grande sezione alle specie tuttora viventi. Questo vale non solo per la flora europea, ma anche per la sua fauna” e sembra essere vero anche per altre parti del mondo. Inoltre, le condizioni ambientali di questo periodo di tempo sono state caratterizzate da un’eccessiva variabilità, da un aumento e diminuzione delle temperature che hanno prodotto, insieme ad altri effetti, una serie di glaciazioni – e nonostante tutte queste variazioni ambientali non c’è stata quasi nessuna evoluzione. Le inferenze attualistiche e le conclusioni tratte dagli attuali valori degli indicatori ecologici alla paleontologia quaternaria si basano su “questa palesemente ampia invarianza delle forme di vita fino alla specie”.

Inoltre, circa la metà dei generi di piante da fioritura trovate nelle formazioni geologiche risalenti a 37 milioni di anni fa sono state assegnate a generi attuali [81] e molte attuali famiglie di piante e generi ben note sono state addirittura identificati in formazioni cretacee (taxa a volte datati a più di 100 milioni di anni fa).

Diversamente, diamo un’occhiata a un altro ben noto gruppo di piante, le briofite. Agashe riferisce [1]:

“I membri di entrambi i principali gruppi di briofite, cioè Hepaticopsida (epatica) e Bryopsida (muschi), sono ben rappresentati nei fossili conosciuti. Tuttavia, uno studio comparativo dettagliato sulle briofite moderne ha indicato che il gruppo è rimasto quasi invariato dal periodo Paleozoico. Quindi le briofite fossili non ci aiutano molto a comprendere l’evoluzione, se non per il fatto che esse costituivano una parte importante della vegetazione dal Paleozoico in poi”.

Si suppone quindi che sulla terra le briofite siano esistite “quasi immutate” per circa 400 milioni di anni.

Un’indagine completa sul fenomeno dell’invarianza nei dati fossili va oltre l’ambito del presente documento (per ulteriori dettagli si veda [10, 27-29, 35-38, 53, 58, 58, 64, 68, 86]). La teoria dell’equilibrio punteggiato [27-29, 35-38] è stata sviluppata per venire a capo del fenomeno generale della comparsa improvvisa e della stasi (l’invarianza della “gestalt” [o forma] degli organismi documentata di solito per milioni di anni) nel registro fossile. I ben noti “fossili viventi” nella stretta definizione del termine (“Essi devono esibire oggi caratteri morfologici primitivi, avendo subito cambiamenti evolutivi limitati dal calo verso un basso grado di diversità in un dato momento nel passato” [82]) si riferiscono solo a una piccolissima minoranza di forme di vita, rivelando anche quel fenomeno generale di comparsa improvvisa e di invarianza descritto dalla teoria dell’equilibrio punteggiato come dedotto dai documenti paleontologici [58].

Ernst Mayr [a], il decano della sintesi moderna, ha solo recentemente definito il fenomeno della stasi morfologica (invarianza) uno dei problemi fondamentali e irrisolti della teoria evoluzionistica, specificando la questione in una recente intervista [67]:

“Nella biologia evolutiva abbiamo specie come i granchi a ferro di cavallo. La documentazione fossile fa risalire il granchio a ferro di cavallo a oltre duecento milioni di anni fa, senza grandi cambiamenti. Quindi ovviamente hanno un tipo di genoma molto invariante, giusto? Sbagliato, non ce l’hanno. Studiate il genotipo di una serie di granchi a ferro di cavallo e scoprirete che c’è una grande varietà genetica. Come mai, nonostante tutte queste variazioni genetiche, non sono cambiati affatto in oltre duecento milioni di anni, mentre altri membri del loro ecosistema in cui vivevano duecento milioni di anni fa sono estinti o si sono sviluppati in qualcosa di totalmente diverso? Perché i granchi a ferro di cavallo non sono cambiati? Questo è il tipo di domanda che ci sconcerta completamente al momento attuale”.

Tutti i fossili viventi studiati finora rivelano anche la maggior parte o tutte le dinamiche del rimescolamento del genoma come indicato sopra – dagli elementi trasponibili ai molteplici promotori e intensificatori.

In questo contesto va sottolineato ancora una volta che esempi come il granchio a ferro di cavallo non sono affatto rare eccezioni alla regola della graduale evoluzione delle forme di vita nel senso di Darwin (vedi sopra). Infatti, siamo letteralmente circondati da “fossili viventi” nell’attuale mondo degli organismi quando si applica il termine in modo più inclusivo come:

“una specie esistente la cui somiglianza con le antiche specie ancestrali indica che si sono verificati pochissimi cambiamenti morfologici in un lungo periodo di tempo geologico” [85]. Inoltre, l’argomentazione di Darwin sull’imperfezione dei dati geologici è stata sistematicamente confutata per molti gruppi di animali e piante negli ultimi 150 anni: circa 200 milioni di macrofossili sono stati accumulati e catalogati nei musei di tutto il mondo e ci sono, infatti, miliardi di microfossili (per una serie di riferimenti, vedi [64]).

Il fenomeno generalmente rilevato della comparsa improvvisa e stasi delle forme, sebbene piuttosto inatteso, non è certo una scoperta della ricerca recente. Lo stesso Darwin commentava tali fatti già nel 1852 come segue: “Quando vedo che le specie, anche allo stato naturale, variano poco e vedendo quanto variano quando vengono addomesticate, guardo con stupore una specie che esiste da uno dei primi periodi del Terziario. Questa fissità di carattere è meravigliosa” [76].

Includendo le osservazioni e le pubblicazioni di Cuvier (1769-1832), che è generalmente noto per essere il fondatore dell’anatomia comparativa e della moderna paleontologia, questo problema irrisolto ha almeno 200 anni e quasi nessuno nega che richieda una spiegazione razionale.

Ora, poiché tutte queste “vecchie caratteristiche” sono ancora con noi, sia a livello morfologico che molecolare, gli interrogativi di base della genetica dovrebbero essere affrontati considerando tutte le caratteristiche dinamiche del continuo rimescolamento e riorganizzazione dei genomi mutevoli: (a) perché questi caratteri sono del tutto stabili e (b) come è possibile derivare caratteristiche stabili da una data specie vegetale o animale tramite mutazioni nei loro genomi?

Il significato e l’origine di sistemi irriducibilmente complessi in biologia

Un primo suggerimento per rispondere alle domande poste nell’ultimo paragrafo è forse fornito anche dallo stesso Charles Darwin quando ha proposto il seguente test di adeguatezza per la sua teoria [16]: ” Se potesse dimostrarsi che esista un organo complesso, il quale non possa essere stato prodotto con molte modificazioni successive e piccole, la mia teoria sarebbe assolutamente rovesciata”. Darwin, tuttavia, dichiarò che non poteva “trovarne un solo caso” – il che, di fatto, avrebbe invalidato la sua teoria. Il biochimico Michael J. Behe [5] ha affinato l’affermazione di Darwin introducendo e definendo il suo concetto di “sistemi irriducibilmente complessi”, specificando: “Per irriducibilmente complesso intendo un singolo sistema composto da diverse parti ben assortite e interagenti che contribuiscono alla funzione di base, in cui la rimozione di una qualsiasi delle parti fa sì che il sistema cessi effettivamente di funzionare”.

Tra gli esempi discussi da Behe ci sono le origini (1) del cilium, (2) del flagello batterico il cui filamento, gancio e motore sono incorporati nelle membrane e nella parete cellulare e (3) della biochimica della coagulazione del sangue negli esseri umani. Inoltre, le trappole di Utricularia (e alcuni altri generi di piante carnivore) [59] così come diversi altri apparati nel mondo animale e vegetale sembrano porre problemi simili per la sintesi moderna (articolazioni, ecolocazione, mimetismo floreale, ecc.).

Un punto è chiaro: dato che in biologia esistono effettivamente molti sistemi e/o sottosistemi correlati, che devono essere classificati come irriducibilmente complessi e che tali sistemi sono essenzialmente coinvolti nella formazione dei caratteri morfologici degli organismi, questo spiegherebbe sia la regolare comparsa improvvisa di nuove forme nel record fossile, sia la loro costanza per enormi periodi di tempo. Infatti, se “diverse parti ben assortite e interagenti che contribuiscono alla funzione di base” sono necessarie affinché i sistemi biochimici e/o anatomici esistano come sistemi funzionanti (perché “la rimozione di una qualsiasi delle parti fa sì che il sistema cessi effettivamente di funzionare”), tali sistemi devono (1) avere origine in modo non graduale e (2) devono rimanere costanti affinché possano riprodursi ed esistere. E questo potrebbe significare esserlo per un tempo non inferiore agli enormi periodi di tempo menzionati per tutti i fossili viventi di cui sopra. Inoltre, si spiegherebbe anche un altro fenomeno: (3) l’altrettanto brusca scomparsa di così tante forme di vita nella storia della terra. In uno scenario strettamente gradualistico dell’origine e dell’evoluzione delle forme di vita ci si aspetterebbe che – tranne che in eventi catastrofici (a lungo negati anche nella geologia uniformitarianistica) come gli impatti del Permiano o del Terziario – la maggior parte delle specie si adatterà continuamente alle diverse condizioni ambientali. In tal modo la maggior parte delle forme non si estinguerebbe semplicemente, ma continuerebbe ad evolversi gradualmente. Tuttavia, questo non è ciò che si riscontra in paleontologia. Al contrario, la maggior parte delle forme di vita appaiono bruscamente, rimangono costanti, e scompaiono altrettanto bruscamente dalla scena mondiale (per i dettagli, vedi [10, 27- 29, 35-38, 53, 58, 64, 68, 86]). La ragione per la quale anche i sistemi irriducibilmente complessi si comporterebbero in accordo con il punto (3) è anch’essa quasi ovvia: se le condizioni ambientali si deteriorano così tanto per certe forme di vita (definite e specificate da sistemi e/o sottosistemi di complessità irriducibile), in modo tale che la loro stessa esistenza sia in discussione, essi potrebbero adattarsi solo integrando ulteriori parti corrispondentemente specificate e utili nella loro organizzazione complessiva, che prima facie apparirebbe come un processo improbabile – o perire.

Appare quindi del tutto evidente che la complessità irriducibile dei sistemi biologici e/o dei sottosistemi correlati potrebbe spiegare le caratteristiche tipiche del record fossile e i fondamenti della sistematica (stasi morfologica – la costanza di base dei caratteri che contraddistinguono le categorie sistematiche superiori), i “processi genetici di base e i principali tratti molecolari”, che si pensa siano “rimasti sostanzialmente invariati per più di tre miliardi e mezzo di anni”, così come la persistenza dei meccanismi molecolari dell’ontogenesi animale per più di un miliardo di anni.

Secondo Behe e diversi altri autori [5-7, 21-23, 53-60, 68, 86] l’unica ipotesi adeguata finora conosciuta per l’origine di sistemi irriducibilmente complessi è l’Intelligent Design (ID), un’ipotesi la cui base scientifica sarà ulteriormente discussa nei paragrafi seguenti in relazione al criterio di Dembski della complessità specificata.

La definizione di Dembski della complessità specificata come strumento scientifico che spiega l’origine della complessità irriducibile

In tre monografie sui criteri scientifici che consentono di distinguere in modo tangibile tra necessità, caso e ID, Dembski [21-23] ha proposto ed elaborato il termine “complessità specificata” incorporando cinque fattori principali per garantire la sua applicabilità non solo ai diversi rami della ricerca umana (per esempio scienza forense, crittografia, diritto della proprietà intellettuale, generazione di numeri casuali, indagine sulle richieste di risarcimento assicurativo, archeologia, SETI), ma anche all’origine delle specie e delle categorie sistematiche più elevate [22, 23]. Per identificare il design, un evento deve mostrare le seguenti cinque caratteristiche, per la cui formulazione matematica e composizione esemplare il lettore interessato si riferisca alle monografie di Dembski (nei paragrafi che seguono, ancora una volta alcuni esempi non sofisticati ma illustrativi, seguendo per lo più quanto Dembski espone, possono essere sufficienti per i nostri scopi attuali):

a) elevata complessità probabilistica (per esempio un lucchetto a combinazione con dieci miliardi di possibilità ha meno probabilità di essere aperta con poche prove casuali rispetto a uno che ne possiede solo 64.000).

b) modelli condizionalmente indipendenti (per esempio, lanciando una moneta non truccata 100 volte, tutti i miliardi di sequenze possibili sono ugualmente improbabili, aventi una probabilità di circa 1 su 10^30; tuttavia, se una certa sequenza fosse specificata prima dell’evento – quindi indipendentemente da esso – e l’evento risultasse corrispondere in modo identico alla sequenza, per spiegare il fenomeno si applicherebbe un’inferenza all’ID).

c) le risorse probabilistiche devono essere basse rispetto alla complessità probabilistica (si riferisce al numero di opportunità che un evento si verifichi: per esempio, avendo a disposizione dieci miliardi di tentativi, un lucchetto a combinazione con 64.000 cifre verrebbe aperto circa 156.250 volte; viceversa, invece, attraverso 64.000 tentativi casuali, la probabilità di aprire un lucchetto a combinazione con 10 miliardi di possibilità è solo 1 su 156.250 prove consecutive).

d) bassa complessità specificazionale (da non confondere con la complessità specificata): sebbene il puro caos abbia un’elevata complessità probabilistica, non mostra schemi significativi e quindi non è interessante. “Piuttosto, è al limite del caos, ben al sicuro tra ordine e caos, che accadono cose interessanti. È lì che si situa la complessità specifica” [23].

e) limite di probabilità universale di 1 su 10^150 – il più conservativo rispetto a molti altri (Borel: 1 su 10^50; National Research Councel: 1 su 10^94; Loyd: 1 su 10^120 – per i dettagli vedere ancora [23]).

“Presentare una complessità specificata significa che qualcosa deve corrispondere a uno modello condizionalmente indipendente (ovvero a una specificazione) di bassa complessità specificazionale, ma dove l’evento corrispondente a quel modello ha una probabilità inferiore al limite di probabilità universale e quindi un’elevata complessità probabilistica” [23]. Per esempio, per quanto riguarda l’origine del flagello batterico, Dembski ha calcolato una probabilità di 10^-234[22] (per ulteriori punti, vedere di seguito).

Tuttavia, se supponiamo con Dembski e Behe che gli organismi in generale mostrino segni di complessità specificata e spesso anche irriducibile, ciò non significa che le circa 100.000.000 di specie morfologiche esistenti di piante e animali [53] siano state originate direttamente attraverso ID. Al contrario, di solito una combinazione di diversi fattori che specificano la dinamica dei genomi dell’organismo, come quelli sopra elencati, sembra essere sufficiente per aver generato più del 99,99% di tali specie, anche se non necessariamente in modo graduale [53, 55, 56], né a causa di un input di nuove informazioni complesse [53, 63, 64]. Oppure, per affermare un aspetto essenziale della questione nelle parole sottolineate da Ohno sui geni dispensabili, che sembrano essere particolarmente rilevanti per l’evoluzione neutrale e regressiva: “…l’idea che tutti i geni ancora funzionanti nel genoma sarebbero indispensabili per il benessere dell’ospite dovrebbe essere abbandonata una volta per tutte” [75]. Tuttavia, come spiegato più avanti, si dovrebbe anche considerare l’ipotesi di un legame tra il potenziale genetico di una specie primaria e l’ID.

La stasi sistematica di cui sopra è generalmente valida solo per le categorie sistematiche superiori da (molti) generi in su (cioè generi, famiglie, ordini, classi, phyla).

Attualmente contiamo solo circa 18.750 generi di piante esistenti e in totale circa 7.000 famiglie di animali (per i dettagli su questa differenziazione tra piante e animali e per i numeri indicati si veda [53]). Così, per quanto riguarda l’origine e la costanza (stasi) così regolarmente riscontrata nella sistematica e nella paleontologia, è essenzialmente la costanza delle caratteristiche che definiscono le categorie sistematiche superiori che deve essere spiegata geneticamente (per non parlare del contributo alla stasi da parte di organuli cellulari, membrane e pareti cellulari).

Nuovi temi di ricerca

Sul piano strettamente scientifico la combinazione di stasi e ID non significa la fine dell’indagine (come talvolta si obietta), ma l’inizio di programmi di ricerca completamente nuovi. Per diverse questioni, infatti, è necessario indagare a fondo prima di poter suggerire valide inferenze scientifiche. Per citarne solo alcune:

(a) L’ipotetica complessità irriducibile dei sistemi biologici e/o dei sottosistemi correlati deve prima essere completamente stabilita sui diversi livelli funzionali, cioè geneticamente, anatomicamente e fisiologicamente. Poiché in biologia non esistono quasi mai sistemi completamente non ridondanti, i sistemi di base irriducibilmente complessi devono essere scoperti, definiti e analizzati scientificamente ai livelli appena menzionati. Strettamente associato a questo compito è il problema di sviluppare modelli realistici delle condizioni al contorno biologico iniziale/primario per l’origine di nuovi putativi sistemi irriducibilmente complessi, cioè per delineare accuratamente il divario tra questi e ipotetici precursori evolutivi. Il calcolo di improbabilità di Dembski di 10^-234 per l’origine del flagello batterico sopra citato non costituisce altro che una prima ipotesi potenzialmente falsificabile di quel programma di ricerca [7, 64].

b) Premesso che tali sistemi possono essere stabiliti, la correlazione tra l’organismo/specie e le sue diverse condizioni ambientali deve essere attentamente studiata in relazione alla questione, ovvero fino a che punto una specie può rinunciare a certi sottosistemi senza svantaggi selettivi in circostanze particolari. Anche se un sottosistema potrebbe essere irriducibilmente complesso in quanto tale, alcuni organismi potrebbero fiorire senza di esso (il tema dell’evoluzione regressiva contiene una vasta serie di esempi istruttivi per questa domanda) [46, 53, 63]. Il problema (b) è strettamente connesso con la questione dei limiti della variazione morfologica dei fenotipi funzionali [53, 55, 56]. In termini semplici, una parte del programma di ricerca sull’ID potrebbe quindi essere posta: trovare i confini della variazione fenotipica funzionale e fisiologica in diverse condizioni ambientali realistiche.

c) La complessità specificata non è necessariamente irriducibile. Quindi, quale potrebbe essere la connessione/relazione molecolare tra la “sola” complessità specificata e la costanza fenotipica che si trova nella maggior parte delle categorie sistematiche superiori degli organismi viventi? Sebbene sembri che molte funzioni geniche che specificano generici e costanti caratteri sistematici superiori siano in qualche modo (e questo “in qualche modo” è un programma di ricerca a sé stante) integrate in una rete correlata di cascate interdipendenti come le intende Behe, alcune parti appaiono comunque riducibili nel senso indicato nei paragrafi (b) ed (e), mostrando tuttavia segni di complessità specificata.

(d) Sembrano esserci molte strutture ornamentali e persino lussuose nel regno vegetale e animale, strutture che – da un punto di vista puramente funzionale – non sembrano essere assolutamente necessarie, a dir poco. Per esempio, in termini di densità di popolazione, successo riproduttivo e distribuzione geografica, il passero domestico (Passer domesticus) ha molto più successo del pavone (Pavo cristatus), i cui maschi mostrano la bellezza ingegnosa della sua coda a ventaglio per esibire il corteggiamento e accoppiarsi con una femmina – ma spesso invitano anche una tigre per una facile preda e un pasto. Nel regno vegetale la famiglia delle orchidee è uno dei vari gruppi che forniscono una serie di ulteriori intricate strutture ornamentali e funzionali (come gli esempi estremi degli organi riproduttivi di Coryanthes e Catasetum, che hanno posto enormi problemi al gradualismo [57]), mentre la maggior parte delle specie vegetali sopravvive con mezzi molto più semplici – e spesso con molto più successo, nei termini appena citati. Anche indipendentemente dal fatto che la risposta spesso citata della selezione sessuale per l’origine della coda del pavone (ed esempi simili) pone di per sé una serie di ulteriori problemi irrisolti [53] e per di più può difficilmente essere applicata alle piante, le domande che ne derivano devono essere indagate: in che misura in tali strutture organiche più o meno selettivamente “neutre” o addirittura ipertrofiche è possibile individuare una complessità specificata e irriducibile a livello genetico, anatomico e fisiologico? Questo programma di ricerca può fornire risposte scientificamente più realistiche di quelle fornite finora?

e) Inoltre, esistono molte caratteristiche costanti che distinguono le specie morfologiche e i generi l’uno dall’altro, probabilmente dovute a fattori ulteriori rispetto alla complessità specifica e irriducibile. Ad esempio, le caratteristiche dovute a perdite di funzioni geniche più o meno ridondanti [63] che influenzano le caratteristiche morfologiche, ma che hanno una probabilità molto bassa di regredire o di essere contrastate da mutazioni compensative di altri geni (modificatori), possono essere costanti per tutto il tempo in cui una specie sopravvive. Diamo un’occhiata a un evento che si è ripetuto sia in natura che nelle specie coltivate: in origine le specie di piante a fiori rossi hanno perso irreversibilmente la loro capacità di generare antocianine e queste potrebbero produrre fiori bianchi quasi per sempre. Altre possibilità di generare caratteristiche piuttosto stabili attraverso le mutazioni includono le funzioni geniche di buffering attraverso la duplicazione dei geni e la poliploidia. D’altra parte, le mutazioni nelle funzioni geniche essenziali coinvolte nella formazione di strutture specifiche per specie o genere – funzioni che erano originariamente bufferizzate da geni accessori ridondanti – potrebbero diventare regolarmente letali dopo la perdita di tale ridondanza da parte delle mutazioni.

f) Vi sono alcune indicazioni che almeno una parte della biodiversità è, per così dire, predestinata dalla costituzione del genoma e dai suoi meccanismi, possibilità e limiti nel generare variazioni funzionali del DNA, compresi gli inserimenti preferenziali di trasposoni di una linea o specie iniziale [64]. Supponendo un vasto potenziale genetico originale per le deviazioni morfologiche funzionali – fino a che punto la complessità specificata e irriducibile è rilevante per quella parte della variazione genetica, in origine solo potenziale, realizzata nel tempo e nello spazio della storia di un genere? [53] Inoltre, diversi specialisti di trasposoni hanno di fatto postulato rapide comparse di specie attraverso elementi trasponibili (torniamo così alla domanda posta alla fine dell’introduzione): concordando con McClintock [69], Syvanen [87] ha dichiarato “Credo che i trasposoni abbiano il potenziale di indurre cambiamenti molto complessi in un singolo evento”. Inoltre, Shapiro [79] è convinto che “devono esistere meccanismi di riorganizzazioni rapide e su larga scala di diversi elementi sequenziali in nuove configurazioni” perché il genoma a mosaico integrato abbia un senso evolutivo. Tuttavia, a tutt’oggi non si può citare quasi nessuna prova sperimentale positiva di questo punto di vista [46, 53, 64].

Un progetto di ricerca che verifichi le possibilità e i limiti della formazione di specie attraverso gli ETi potrebbe anche includere la questione dell’evidenza di una complessità specifica e irriducibile a livello sia di DNA che morfologico; per esempio, possono gli ETi essere fattori chiave nel rilascio di un potenziale genetico dormiente che potrebbe mostrare l’impronta di ID – ad esempio un regolatore master con un insieme di geni bersaglio corrispondenti – per formazioni di morfo-specie improvvise?

g) Un’altra domanda che dovrebbe essere studiata è in che misura le correlazioni tra il genoma e l’ambiente cellulare circostante (organuli cellulari, membrane, pareti cellulari, cascate fisiologiche e le loro interrelazioni) possono essere illuminate e spiegate da un programma di ricerca che affronta complessità particolarmente specifiche e irriducibili in questo campo. Per i primi passi di un tale programma di ricerca, vedi Behe [5] e Lönnig [53].

Alcune obiezioni di fondo

Tuttavia, di fronte a tutti i diversi meccanismi genetici dinamici che generano enormi masse di variazioni di sequenza di DNA quantitativamente e qualitativamente diverse, come mostrato sopra, ci si può chiedere se sia davvero necessario postulare l’ID per l’origine delle strutture e dei processi di base degli organismi viventi.

Nei paragrafi che seguono discuteremo alcuni dei punti che potrebbero essere rilevanti per questa domanda: un dato di fatto è che nel corso delle ultime centinaia di anni almeno 680 specie animali si sono estinte (e attualmente almeno 5.438 sono criticamente in pericolo, in pericolo o vulnerabili) e almeno 449 specie vegetali si sono estinte (37.969 specie vegetali sono minacciate) [44, 89]. Per quanto riguarda queste specie, è indiscutibile che tutte le impressionanti possibilità e quantità di variazioni di sequenza del DNA conosciute finora non sono state sufficienti a evitarne l’estinzione.

Tuttavia, si potrebbe obiettare che la maggior parte di queste estinzioni sono dovute a spostamenti ambientali sulla scia delle attività umane, che sono avvenute troppo velocemente per essere seguite dalla natura, e che c’è, infatti, evidenza dell’ipotesi che esiste un enorme potenziale genetico per una vasta gamma di adattamenti ambientali in molti generi e/o famiglie di piante e animali, sebbene entro certi limiti fisiologici, anatomici e morfologici, in grado di produrre complessivamente circa 100.000.000 di morfo-specie sopra menzionate (per una discussione dettagliata, si veda di nuovo [53]).

D’altra parte, per quanto riguarda i candidati dei sistemi irriducibilmente complessi sopra menzionati (il cilium, il flagello batterico, la coagulazione del sangue, le trappole di Utricularia e di alcuni altri generi di piante carnivore, le articolazioni, l’ecolocazione, il mimetismo floreale mostrato da Coryanthes e Catasetum, ecc.), si può sostenere con sicurezza che finora nessuno di questi sistemi è stato spiegato in modo soddisfacente dalla sintesi moderna né da altre teorie evolutive. Né è stata avanzata una teoria naturalistica testabile per le caratteristiche di base della documentazione fossile (comparsa improvvisa della maggior parte delle forme di vita, stasi e più tardi spesso anche scomparsa improvvisa). Che l’insieme dei fattori che contribuiscono al dinamismo genomico, con tutte le conseguenze mutageniche sopra citate, abbia la capacità di risolvere le questioni poste rimane dubbioso – in diversi casi i sistemi da spiegare sono ben noti da più di cento anni: Utricularia, Coryanthes, Catasetum e altri sono già stati investigati da Darwin. Inoltre, la selezione naturale in sé potrebbe non avere il rigore e le capacità che di solito le vengono attribuite (per i dettagli, si veda [54, 59, 60, 77, 86]).

Infine ma non per importanza, va forse sottolineato che la ricerca sulle complessità irriducibili e/o specificate della biologia non costituisce sicuramente un programma di ricerca metafisica, ma è scientificamente valida almeno quanto il SETI (ricerca dell’intelligenza extraterrestre), che è attualmente sostenuta da migliaia di scienziati in tutto il mondo, per non parlare della rete affiliata di più di 4 milioni di computer in oltre 200 paesi del mondo (per una discussione esaustiva di ulteriori questioni di base, si vedano i contributi di Behe, Dembski, Lönnig, Meyer e altri [5-7, 21-23, 53-58, 68, 86]). La complessità irriducibile e specificata è uno strumento di ispirazione che può e deve essere indagato empiricamente. Inoltre, i concetti sono potenzialmente falsificabili nella ricerca vera e propria (Popper) e quindi appartengono chiaramente al campo della scienza.

Nota: va precisato che le ipotesi di Behe e Dembski e le mie applicazioni di esse agli ulteriori fenomeni biologici sopra descritti sono state formulate in un clima intellettuale di enormi tensioni tra le diverse visioni del mondo, spesso così tanto che sembra necessario sottolineare che un autore che sostiene l’ID non parla a nome di un’istituzione, ma dà la sua personale opinione. Tuttavia, sono pienamente convinto che vi sia una serie di argomenti scientifici convincenti (dei quali alcuni sono stati discussi in precedenza) che incoraggiano i ricercatori di mentalità aperta a considerare e indagare attentamente l’argomento all’interno delle loro diverse discipline biologiche.

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Traduzione e correzione bozze Melissa Valvano, con il supporto di Carlo Alberto Cossano e Cristian Puliti; pubblicazione web Davide Ricciardulli.

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