Causalità, natura, materialismo e Intelligent Design – Seconda parte

Argomenti a sostegno del principio di causalità

Qualsiasi studioso di storia della filosofia sa quanto sia estesa la lista dei pensatori che, sin dall’antichità, hanno contemplato l’armonia dei cieli e della natura ritenendo evidente l’opera di un’Intelligenza, di un Legislatore dell’Universo. Questa argomentazione, nota come argomento fisico-teologico, è quella che, anche a detta dei suoi stessi avversari, ha da sempre riscosso il maggior successo fra i filosofi. Solo per fare alcuni esempi antichi,si pensi al Nous (Intelletto)che Anassagora (V sec. a.C.) pone quale causa dell’ordine del Mondo, al demiurgo di Platone (428-348 a.C.), al Motore immobile di Aristotele, eccetera. Al di là degli autori, si possono citare diverse argomentazioni a favore del principio di causalità (cfr. Carosi, Corso di filosofia. 2: Ontologia):  

  1. Prima di tutto, il semplice buon senso. Anche gli Scettici o Hume nella loro vita pensavano e agivano dando per scontata la validità del principio di causalità. Sapevano, per esempio, che mettere la mano nel fuoco (causa) avrebbe certamente prodotto un’ustione (effetto). Non mi risulta che qualcuno di loro si sia in pieno agosto gettato nel fuoco ritenendo che “forse” esso avrebbe generato refrigerio, anziché una morte atroce o un dolore indicibile! 
  2. Le scienze naturali, sperimentali e le attività industriali umane si fondano sul principio di causalità. Se non fossi certo del principio di causalità, che senso avrebbero gli esperimenti fatti per interrogare la natura, allo scopo di verificare ipotesi e teorie? A che scopo, per un imprenditore, costruire una fabbrica con strumentazioni (causa) per produrre determinati materiali (effetto), se tanto non potrebbe essere sicuro che quegli strumenti produrranno sempre gli stessi prodotti? Magari le leggi fisiche cambierebbero in corso d’opera… E se un giorno gli strumenti che ho acquistato per produrre vetture dovessero da se stesse iniziare a produrre palloni da calcio? Non ridiamo… per l’industria è un problema serio! Ma al di là degli scherzi, qualcuno potrebbe allora invocare, a supporto della non validità universale del principio di causalità, la meccanica quantistica, con tutte le dinamiche connesse al principio di indeterminazione di Heisenberg e altro ancora. L’obiezione suonerebbe più o meno così: nel mondo subatomico vi è indeterminismo: lo stato A di una particella non determina lo stato B successivo: B segue ad A senza esservi pre-contenuto e predeterminato. Dunque, il valore universale della causalità non regge: vi è perlomeno una porzione della realtà che funziona “a caso”; non è dunque da escludersi che anche eventi come l’origine della vita o persino il Cosmo stesso siano sorti per puro caso. Ma è davvero così? No, perché:
  3. Dal fatto che osservando la fase presente non si possa prevedere con esattezza quale sarà la fase futura, non segue che la fase presente non prepari, in qualche modo, una certa fase futura.
  4. L’indeterminismo quantistico non nega in nessun caso la causalità, poiché causalità e determinismo non sono la stessa cosa. Il determinismo è solo una specie di causalità, precisamente la causalità necessaria; ma esiste anche la causalità libera. Se A non pre-contiene necessariamente B, e da A non necessariamente viene B, ne consegue solo che B non abbia una causa necessaria, non che non abbia affatto una causa. Così, venendo all’essere umano, il fatto che l’uomo si trovi in una circostanza A non implica che egli deciderà inevitabilmente un determinato B: ma quel tipo di B che l’uomo sceglierà, sebbene non abbia una causalità necessaria, avrà comunque una causalità. 

La meccanica quantistica, con tutte le sue dinamiche (dualismo onda-particella, equazione di Schrödinger, probabilismo eccetera), si oppone al determinismo, non al principio di causalità. L’indeterminismo quantistico esclude il passaggio dalla conoscenza della causa alla conoscenza dell’effetto, ma non quello dalla conoscenza dell’effetto all’affermazione di una causa.

  • Quanto comincia a essere (esistere) è causato: un ente che prima non esisteva, non inizia a esistere da se stesso, per pura spontaneità, senza intervento di niente e nessuno, altrimenti: perché proprio ora e non prima? E perché le cose che possono esistere spontaneamente non sono venute all’esistenza tutte assieme? La filosofia scolastica insegna che una potenza viene condotta all’atto da un agente che è già in atto. Così, il Cosmo non può essere iniziato spontaneamente, per auto-decisione, come se quella “forza misteriosa” dell’evoluzione, da molti invocata quasi fosse una divinità (reificazione) – assieme al “caso” – avesse deciso da sé di portare all’atto l’Universo. Una pura potenza (vedasi il principio di mutamento) non può portarsi da se stessa all’atto, altrimenti avrebbe dovuto farlo già da tempo infinito. Sostenere che l’Universo sia nato da una fluttuazione quantistica del vuoto non elimina il “problema” della causa prima (per chi lo ritiene un problema!): devono pur esserci delle regole del gioco pregresse governanti anche la fluttuazione del vuoto. 
  • Quanto muta, deve avere una causa del proprio mutamento. Mutare significa acquisire nuovi attributi che prima non si possedeva (per esempio: l’acqua, se riscaldata, passa dal freddo al caldo). Ciò che muta non muta negativamente, in modo spontaneo (salvo miracolo, dall’ignoranza, che è assenza di scienza, non proviene spontaneamente la scienza), ma neppure positivamente (se Giovanni avesse la scienza per natura, dovrebbe averla da sempre, senza avere necessità di acquisirla con studio e fatica).
  • Ciò che è contingente, richiede una causa: contingente è quanto esiste, ma potrebbe non esistere, per esempio l’Universo e l’uomo; è contingente e non necessario, perciò, tutto ciò la cui esistenza possiede almeno un inizio, se non anche una fine. Un ente contingente non può sorgere in autonomia, per iniziativa propria, ma deve avere una causa che lo ponga in essere. Così l’Universo, stando alle osservazioni, ebbe un inizio e avrà una fine. L’Universo richiede allora una causa adeguata per il suo inizio, nonché per la regolazione “a puntino” di tutte le costanti e leggi che governano gli enti che lo popolano (cfr. Meyer, Return of the God hypothesis).  
  • Ciò che è composto è causato. Quanto consta di parti eterogenee, non si costituisce da sé, poiché parti diverse non si uniscono spontaneamente senza intervento di un agente. Quell’unum per accidens che è il Cosmo, richiede dunque un complesso di leggi che coordini tutti gli enti e le loro relazioni. E stabilire tale coordinamento globale richiede un progetto, un disegno adeguato: in ultima istanza, un’Intelligenza. Paolo Carosi commenta che se persino i marchingegni degli astronomi che replicano il Sistema Solare sono opera di un’intelligenza, quanto più lo saranno il Sistema Solare stesso o qualsiasi sistema stellare? (cfr. Carosi, Corso di filosofia. 4: Ontologia, p. 154). 
  • Ciò che agisce in vista di un fine è causato: il fine è il direzionamento di un ente, al presente, in funzione e in vista di un termine futuro che ancora non esiste. Orbene, che esista finalismo nelle azioni e nelle opere umane è evidente; che esistano argomenti seri per indicare un’intenzionalità in innumerevoli attività della natura è altresì evidente: basti pensare, per esempio, allo sviluppo dell’embrione. Come già ricordato nell’articolo Dialettica dell’universo (parte II), ciònon significa che non esista il caso, ma occorre specificare che il caso è l’incontro di un qualcosa o qualcuno con un altro qualcosa o qualcuno non previsto né ricercato. Un esempio semplice: due corrieri vengono mandati in una stessa località dal titolare dell’azienda, l’uno all’insaputa dall’altro; ora, è possibile che i due corrieri si ritrovino “per caso”, e con sorpresa, in quella località di destinazione. Eppure, se per loro l’incontro è casuale, guardando le cose da una prospettiva superiore non è così: i due corrieri si incontrano lì poiché il titolare ve li ha inviati. Pertanto, ilcaso è sempre parziale: qualcosa può avvenire a caso solo se qualcos’altro – le premesse di quel “caso” – non sono “casuali”! Orbene, non si può affermare che tutto provenga dal caso, perché finalismo e intenzionalità sono certi almeno:
    • Nelle azioni umane. Noi esseri umani siamo coscienti di essere causa delle nostre azioni libere, e del fatto che la nostra volontà agisce sulle nostre facoltà, rendendoci responsabili di quel che facciamo e diciamo.

Nella natura, caratterizzata da stabilità.Il caso non avrebbe memoria, sicché se tutto procedesse veramente “a caso”, vi sarebbe ovunque caos, disorganizzazione, ma si constata invece la presenza di eventi e processi stabili (uniformità della natura) grazie a leggi stabili e intelligenti che regolano l’Universo in grande e in piccolo (es. cellula, DNA…). Molti preferiscono tirare in ballo la “Natura”, anziché un’Intelligenza che la trascende: “La Natura agisce così!”. È però chiaro che in tal modo non si fa che affermare il fatto del finalismo, senza però spiegarlo. Si ammette che la natura coincida con un’intelligenza immanente; ma anche ammettendo ciò, si starebbe comunque affermando che il finalismo richiede una causa intelligente.

Ora, è evidente che ogni ente finito – gli enti del mondo fisico, per intenderci – sia causato, come si evince da molteplici considerazioni: 

  • L’ente finito possiede limitatamente le sue perfezioni, a cominciare dall’essere. Un ente che avesse la perfezione stessa dell’essere, sarebbe l’Essere in tutta la pienezza, l’Essere onnipotente. Gli enti finiti, invece, non sono l’essere, la bellezza, eccetera, ma hanno (un po’ di) essere, bellezza, eccetera. Deve dunque esistere un Essere che possieda tali perfezioni in modo pieno, e del quale l’ente limitato sia un riflesso. Tommaso d’Aquino spiega che l’ente finito ha l’essere, ma non è l’essere: deve averlo ricevuto da un ente che sia esso stesso l’Essere – non è ammissibile un rimando all’infinito – e che abbia l’esistenza per essenza. Questo Essere, poi, crea gli enti finiti, cioè aggiunge in loro l’esistenza all’essenza. Per Tommaso gli enti finiti possiedono l’esistenza per partecipazione, proprio come un bastone è infuocato non perché è fuoco, ma perché ha ricevuto la fiamma dal fuoco (cfr. Somma teologica). 
    • Gli enti finiti sono molteplici, diversi e distinti fra loro, e la loro diversità nei gradi di essere, bellezza eccetera, dipende dal fatto che ricevono perfezione dalla causa superiore. 
    • Gli enti finiti sono tutti composti, e il composto è causato, poiché necessita di un principio che garantisca la composizione.  

Nella terza e ultima parte dell’articolo, vedremo come il principio di causalità possa lecitamente estendersi al di là della dimensione empirico-materiale, e come dunque il richiamo a un’Intelligenza che trascenda il tempo e lo spazio non sia affatto fuori luogo.

Di Mauro Stenico.

Bibliografia

ARISTOTELE
2000 Metafisica. Milano: Bompiani.

CAROSI, Paolo
1959a Corso di filosofia. 1: Introduzione e gnoseologia. Roma: Edizioni Paoline.
1959b Corso di filosofia. 2: Ontologia: Ente in genere e ente finito. Roma: Edizioni Paoline.
1959c Corso di filosofia. 4: Ontologia: Dio. Roma: Edizioni Paoline.

MEYER, Stephen C.
2021 Return of the God hypothesis. Broadway, New York: HarperCollins Publishers.

D’AQUINO, TOMMASO
1996 Somma teologica. Bologna: Edizioni Studio Domenicane.

Fotografia: Vittorio Ricci

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