Causalità, natura, materialismo e Intelligent Design – Prima parte

Introduzione

Le considerazioni contenute in questo contributo sono state elaborate soprattutto sulla base dei volumi citati in bibliografia. Sebbene possa sembrare di primo acchito “datata”, raccomando la lettura della pregevole e chiarissima raccolta intitolata Corso di filosofia,di p. Paolo Carosi, pubblicata in sei volumi fra il 1959 e il 1960. Assai utili anche le osservazioni metodologiche su scienza e conoscenza presentate da Stephen C. Meyer nel suo ottimo Return of the God hypothesis (2021). Centrale, infine, la filosofia scolastica, con particolare riferimento alle opere di S. Tommaso d’Aquino (1225-1274).

I principi primi della conoscenza 

Il principio di causalità rientra fra i cosiddetti principi primi per sé noti, vale a dire il complesso delle premesse e delle “regole di condotta” della conoscenza riconosciute dall’intelletto come immediatamente evidenti, ovverosia valide senza necessità di dimostrazione. Tali regole rappresentano il fondamento stesso della conoscenza e fra esse si contemplano: 

  1. Il principio di non contraddizione, il primo in assoluto. È indimostrabile per via diretta, proprio perché non è possibile ricavarlo da alcun argomento anteriore. Unico modo per provarlo, ma in via indiretta, è mostrare le assurdità che si genererebbero negandolo. Il principio di non contraddizione stabilisce come sia impossibile che uno stesso predicato convenga e non convenga allo stesso soggetto, nel medesimo tempo e al medesimo riguardo. In altre parole, due contrari non possono riferirsi, contemporaneamente, a uno stesso soggetto in uno stesso momento. Se dicessi, genericamente, che “Giovanni è un buon uomo, ma è cattivo”, susciterei di certo stupore nel mio interlocutore, poiché avrei asserito una cosa chiaramente incomprensibile, per l’appunto contraddittoria. D’altro canto, se si potessero lecitamente fare asserzioni del genere, tutti potrebbero asserire tutto e il contrario di tutto, avendo sempre e comunque ragione. E nessuno potrebbe opporsi. Non vi sarebbero più né verità né falsità. Ma a quel punto non potrebbero più esistere né scienza né conoscenza vera: sarebbe il regno del puro sofismo, il trionfo del motto di Protagora (V sec. a.C.) per cui l’uomo è la misura di tutte le cose. Orbene, il predetto giudizio su Giovanni non sarebbe più contraddittorio qualora cambiassi il tempo di riferimento, dicendo per esempio che “Giovanni era buono, ma ora è diventato cattivo”. Non vi sarebbe contraddizione neppure se specificassi riguardi diversi, affermando: “Giovanni è un buon operaio, ma un cattivo guidatore”. Nella sua Metafisica Aristotele (384-322 a.C.) scrive, giustamente, che nessuno oserebbe negare davvero il principio di non contraddizione. Checché ne dicano gli idealisti ottocenteschi, anche se l’uomo più scettico o idealista – nel senso dell’idealismo filosofico – venisse posto davanti a un precipizio, egli sarebbe certo che quello lì davanti è un precipizio, e starebbe attento a non cadervi dentro, poiché anch’egli non accetterebbe mai – salvo casi di follia manifesta – che precipizio sia uguale a non-precipizio: il precipizio vi è e non voglio cadervi dentro. Punto. Non è la mia mente a creare il precipizio, e io non direi mai che quello probabilmente è un precipizio ma probabilmente anche no. Alla fine, quindi, nella vita la filosofia del realismo trionferebbe comunque. 
  2. Il principio del terzo escluso, naturale corollario del principio di non-contraddizione. Può esemplificarsi dicendo: “A o è B, oppure non è B”; non vi è una terza possibilità. Per esempio: o “Giovanni è andato a scuola oggi” oppure “Giovanni non è andato a scuola oggi”.
  3. Il principio di sostanza: tutto ciò che è, o è sostanza (soggetto) o è accidente (predicato, attributo) di una sostanza. Sostanza è ciò a cui compete essere in sé, quale soggetto di predicazione, e non in altro; accidente è ciò che è in altro e che non può sussistere senza questo altro. Si consideri per esempio l’enunciato: “Uomo alto”. Uomo è sostanza; alto è un accidente non rilevante per l’essenza di uomo, giacché l’uomo potrebbe benissimo essere basso, e rimarrebbe comunque uomo. Nessuna sostanza corporea è priva di accidenti, ma è anche vero che non vi sono accidenti senza sostanza: nessuno ha mai visto l’attributo “alto” girare per strada. È poi vero che l’accidente è ciò che perfeziona, integra e determina la sostanza. 
  4. Il principio di ragion sufficiente, tale per cui ogni ente possiede una ragione del proprio essere o in se stesso oppure in altro da sé. Nella filosofia scolastica, soltanto Dio è a sé (aseità), poiché in Lui essenza ed esistenza coincidono: come insegna S. Tommaso, Egli è l’Essere, mentre l’uomo e gli altri enti hanno l’essere, ma non sono l’essere.
  5. Il principio di causalità: ogni ente o accadimento possiede una causa: nihil fit sine causa. Su questo principio seguirà un particolare approfondimento.
  6. Il principio di finalità: ogni agente, anche privo di coscienza e conoscenza, agisce in vista di un fine (omne agens agit propter finem). Il finalismo viene di solito guardato con orrore dal materialismo, poiché ritenuto anti-scientifico. Un tempo, invece, si riteneva normale considerare che ogni cosa agisse in direzione di uno scopo e fosse anzi fatta, strutturata, proprio per raggiungere quello scopo. Nella Somma teologica, Tommaso fonda una delle sue cinque vie della ragione a Dio muovendo dal governo della natura e di tutti gli esseri, anche inanimati, da parte di leggi precise che appaiono quali espressioni di intelligenza. 
  7. Il principio di causa del mutamento: ogni mutamento suppone un soggetto (sostanza) di riferimento e una causa del mutamento stesso: il divenire (evoluzione) non può essere il primo principio di spiegazione di qualcosa. Il mutamento è sempre un passaggio da una potenza all’atto (es. dal seme alla pianta), ma deve esserci un soggetto già dato che diviene. Occorre inoltre che il mutamento sia osservabile o perlomeno razionalmente giustificabile. Non sembra esserlo, invece, il tanto invocato passaggio “casuale”, “spontaneo”, “fortuito”, dalla non-vita alla vita, dalla non-ragione alla ragione, dalla bestia all’essere umano. Fra non-vita e vita, per esempio, lo scarto ontologico – cioè di contenuto di perfezione – è incolmabile tramite processi meramente materiali. Gli Scolastici insegnavano che nemo dat quod non habet, ossia che niente e nessuno può dare ciò che non ha (per esempio una perfezione come la vita). I giuristi dicono, trasponendo la questione sul piano del diritto, che nemo plus iuris in alium transferre potest quam ipse habet: nessuno può trasmettere ad altri un diritto che non possiede o più ampio di quello che possiede. 
  8. Principi di induzione e deduzione: nella conoscenza della realtà, dai singolari si può risalire agli universali – per esempio: dalla caduta di molti gravi alla legge universale di gravità – così come dall’universale si può procedere ai singolari, come per esempio accade con un teorema matematico generale applicato a vari casi particolari.  
  9. Sinderesi: l’esistenza di una legge interiore intesa come generale coscienza e consapevolezza del bene e del male, tale per cui il male è da evitare, il bene da perseguire. 

Su questi principi gli Scolastici non erano molto diplomatici, quando affermavano cum negante principia nequit disputari, ossia che con chi nega i principi primi neanche vale la pena di mettersi a discutere, poiché non si giungerebbe da nessuna parte.

Negatori (o limitatori) del principio di causalità

Riferiamoci ora al principio di causalità. Domanda: è legittimo parlare di causalità in natura, o dobbiamo piuttosto affermare che tutto nel Mondo avvenga a caso? Nella storia della filosofia non tutti i pensatori hanno sostenuto la legittimità del principio di causalità. 

Il principio fu per esempio contestato dagli Scettici antichi, che giungevano alla conclusione che non fosse possibile conoscere nulla con certezza. Conclusione che, paradossalmente, è essa stessa una certezza! 

In tempi più moderni il principio fu posto fra parentesi da Nicolas Malebranche (1638-1715), padre dell’occasionalismo, teoria per la quale gli atti dell’uomo sarebbero semplicemente occasioni – tecnicamente: cause occasionali – per l’intervento puntuale di Dio nell’anima, e nulla fuori dal pensiero o dall’anima esisterebbe con certezza. Esse est percipi: quanto l’uomo può con sicurezza dire sugli oggetti e sugli eventi è soltanto che egli li percepisce, ma ciò non significa che esistano di necessità come entità indipendenti dal pensiero. Non è affatto detto, quindi, che esista un ente vero e proprio esterno alla mente e che esso sia davvero la causa di quanto io percepisco, né è sicuro che enti e fenomeni reali siano davvero causa di altri enti e fenomeni reali, dato che nemmeno siamo certi che essi possiedano un’esistenza reale.   Il razionalista Gottfried W. Leibniz (1646-1716) poneva in scacco la validità del principio di causalità mediante la sua teoria dell’armonia prestabilita. A suo dire, gli enti (monadi) sono come atomi senza porte né finestre, atomi dunque impossibilitati a comunicare davvero tra loro e ad avere relazioni reali. Semplicemente, da tutta l’eternità, come un grande Orologiaio con il suo orologio, Dio avrebbe accordato gli eventi “A” e “B” in modo che proprio in un certo momento appaiano l’uno come causa dell’altra (esempio: fiamma [presunta causa] → calore [presunto effetto]), laddove si tratterebbe invece soltanto di un coordinamento dato da Dio ab aeterno, non di un rapporto reale fra “A” e “B”. Un’apparenza ben coordinata, dunque, non una realtà. 

Il principio fu duramente attaccato altresì dall’empirista David Hume (1711-1776), secondo il quale la causalità sarebbe soltanto una credenza (belief) derivante dall’abitudine di vedere due fenomeni costantemente congiunti nel tempo e nello spazio (es.: ghiaccio → freddo), mentre osservando le cose con distacco, fra i due fenomeni non esiste alcuna connessione intima o necessaria. Hume giunge così a porre in dubbio l’uniformità della natura e delle sue (direbbe lui: presunte) leggi: usando un accendino, potrebbe accadere che domattina la fiamma accesa sprigioni freddo, anziché caldo. 

Per un positivista come Auguste Comte (1798-1857), l’umanità matura, giunta ormai allo stadio scientifico o positivo, dovrebbe rinunciare alla ricerca di cause e fini, per limitarsi alla sola descrizione dei fenomeni e delle leggi universali: pura legalità senza causalità. 

Per Immanuel Kant (1724-1804), quello di causalità è un concetto puro dell’intelletto, una categoria innata che l’intelletto applica alla natura per conoscere unicamente come essa appare (fenomeno) all’uomo, ma che non consente di conoscere la natura reale, intrinseca, delle cose (noumeno) né di estendere la conoscenza oltre il dominio sensibile. Noi sappiamo – e verrebbe da chiedere a Kant: in base a cosa lo sappiamo? – che esiste una cosa in sé (noumeno), ma non possiamo conoscerla. L’uomo è allora destinato a conoscere non le cose in se stesse, ma solo l’apparenza delle cose (fenomenismo), le cose per come modellate dalle forme a priori della conoscenza umana – che sono le intuizioni pure di tempo e spazio, e i concetti puri, cioè le dodici categorie – forme innate nell’uomo che precedono qualsiasi conoscenza, rappresentandone anzi la condizione di possibilità. Non a caso, per Kant l’intelletto è legislatore della natura. La causalità si limita a quel mondo delle apparenze che è il mondo dei fenomeni, cioè gli “spettri” del mondo materiale, ma è per Kant illecito estendere la categoria di causalità oltre il mondo empirico-sensibile, che peraltro neanche posso conoscere in se stesso! Dunque, a suo dire è illegittimo porre qualcosa come un’Intelligenza – entità trascendente il Mondo – a fondamento del Mondo. È una tendenza metafisica spontanea nell’uomo, ma per Kant la metafisica non è affatto una scienza, e sarebbe anzi da bandire…   Nella seconda parte dell’articolo presenterò alcune fra le principali argomentazioni a favore della validità del principio di causalità, mostrandone la razionalità e l’universalità.

Di Mauro Stenico.

Bibliografia

ARISTOTELE
2000 Metafisica. Milano: Bompiani.

CAROSI, Paolo
1959a Corso di filosofia. 1: Introduzione e gnoseologia. Roma: Edizioni Paoline.
1959b Corso di filosofia. 2: Ontologia: Ente in genere e ente finito. Roma: Edizioni Paoline.
1959c Corso di filosofia. 4: Ontologia: Dio. Roma: Edizioni Paoline.

MEYER, Stephen C.
2021 Return of the God hypothesis. Broadway, New York: HarperCollins Publishers.

D’AQUINO, TOMMASO
1996 Somma teologica. Bologna: Edizioni Studio Domenicane.

Fotografia: Vittorio Ricci

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