La dialettica dell’Universo – Prima parte

La dialettica dell’Universo

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Prima parte

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Introduzione: cosmologia e dialettica

Probabilmente non ce ne rendiamo conto, ma dal punto vista etimologico il termine cosmologia rappresenta già di per sé una presa di posizione rispetto all’Universo. La parola deriva infatti dal greco kòsmos, che significa “ordine”. La kòsmesis (da cui cosmesi) indica invece l’atto dell’“ordinare”, ma anche dell’“abbellire”. Si suppone sia stato Pitagora (VI-V sec. a.C.) il primo a usare kòsmos per designare i cieli. In questo articolo utilizzerò indistintamente i termini Cosmo, Universo e Mondo.

La cosmologia è la scienza che si occupa dello studio dell’Universo nel suo complesso – qualora ritenuto possibile e che ne indaga nascita, sviluppo e destino. Il cosmologo tenta di ricostruire la storia dell’Universo e di studiarne la topologia, proprio come nelle cosmogonie antiche, che certo non disponevano però degli strumenti e delle tecnologie moderne. Sull’Universo ci si può interrogare sia dal punto di vista fisico-matematico, sia dal punto di vista filosofico, indagando il rapporto fra causa ed effetto, uno e molteplice, la natura contingente del Mondo eccetera.

L’obiettivo di questa riflessione è di illustrare la dialettica cosmologica tra realtà e forze agenti nell’Universo, anche in contrapposizione reciproca, alla luce delle moderne conoscenze sull’Universo. Due precisazioni si rendono ora necessarie:

 parlando di realtà e forze non intendo fare alcun riferimento a bizzarre entità esoteriche, ma mi riferisco unicamente a realtà e forze fisiche;
 a scanso di equivoci, preciso che la dialettica di cui parlerò non si applica in alcun modo al campo etico, come se bene e male costituissero, in senso eracliteo, entità necessarie l’una all’altra.

Ciò premesso, alla luce del paradigma cosmologico del Big bangla teoria che sembra oggi descrivere più efficacemente i dati empirici disponibili – esporrò alcune fra le principali interazioni dialettiche che si verificano nel Mondo e tenterò di mostrare come esse siano indispensabili per condurre alla formazione di un Universo complessivamente armonico e ordinato. È peraltro proprio sulla base dell’ordine globale esistente che le scienze esistono – una lettura scientifica di un’entità completamente caotica e confusa sarebbe impossibile – e possono ricondurre la pluralità dei fenomeni all’unità, cioè risalire dai molteplici fenomeni naturali ai principi, in numero limitato, che ne regolano il funzionamento. Sulla base dell’uniformità dei fenomeni e del comportamento degli enti, agli scienziati è possibile classificare. Soffermiamoci, per un attimo, su questo pensiero: l’uomo, un minuscolo granello di polvere rispetto alla grandezza dell’Universo – eppure, pascalianamente, un granello pensante – classifica non solo minerali, piante e animali, ma anche stelle e galassie.

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Quando si parla di dialettica cosmologica emergono interrogativi intriganti, quali:

1.Come poterono lo spazio derivare dal non-spazio e il tempo dal non-tempo?
2.Da che cosa fu generata l’esplosione primordiale o Big bang?
3.Quale il rapporto fra le due forze che sembrano governare le dinamiche cosmiche in grande, ovverosia attrazione e repulsione?
4.Come poté da un’esplosione di pura energia generarsi un Cosmo ordinato?
5.Come poté dall’unità originaria (singolarità cosmologica) generarsi la pluralità dei corpi celesti che popolano l’Universo?
 

Ovviamente non possediamo le risposte a tutte queste domande, che esercitano in se stesse un grande fascino.

Per studiare l’Universo gli astronomi elaborano un modello cosmologico. Per modello propongo di intendere una costruzione teorica che si avvale di un linguaggio (o linguaggi) verbale e\o non verbale, applicato all’oggetto di studio affinché questo assuma una forma razionale – cioè accessibile all’intelletto, ossia comprensibile – e sia possibile indagarne le peculiarità fondamentali. Nel costruire un modello cosmologico occorre tenere presente il ruolo:

 Dell’ipotesi, poiché, come dice Platone (428-348 sec. a.C.), in un campo tanto immenso come questo «se presenteremo ragionamenti verosimili dobbiamo accontentarci, ricordandoci che io che parlo e voi che giudicate abbiamo una natura umana» (Timeo).
 Del criterio di semplicità, perché, dice Aristotele (384-322 a.C.), «la natura realizza sempre la possibilità migliore (…). Non fa niente invano (…). È molto meglio limitare il numero dei principi e ridurlo il più possibile, a patto che si possa ancora dimostrare tutto quello che si dimostrava prima» (Il cielo). Secoli dopo, tale principio fu ribattezzato come rasoio di Ockham, ma il vero padre ne fu il filosofo stagirita.
 

Iniziamo… dall’inizio!

Uno dei più affascinanti e perenni quesiti della cosmologia viene posto da Aristotele nel libro VIII della Fisica in questi termini:

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«Forse il movimento è nato, mentre prima non c’era, e poi deve finire? Oppure non nacque né finirà, ma sempre fu e sempre sarà?».

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La risposta alla domanda è tanto complessa che il Filosofo stesso scrive, nel libro I dei Topici (I, 11), che vi sono questioni sulle quali «non possediamo un discorso concludente, data la loro grandiosità, e pensiamo sia difficile fornire il perché: ad esempio la questione se il mondo sia eterno o no» (Organon). Eppure, al di là della difficoltà che Aristotele medesimo pone nei Topici, egli non dubita che il Mondo sia eterno. Così come è a suo dire certo che esso sia suddiviso in due grandi zone: quella sublunare dei quattro elementi tradizionali (terra, acqua, aria, fuoco), regno della generazione e della corruzione, e quella dei corpi celesti, composti dall’incorruttibile quinto elemento: l’etere.

Diversa, a solo titolo di esempio, la ben nota posizione kantiana in materia cosmologica. L’Immanuel Kant (1724-1804) maturo, quello della Critica della ragion pura (1781) – molto diverso dal giovane Kant dell’Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels (1755) vorrebbe porre una pietra tombale sulla questione dell’inizio del Cosmo. Una delle quattro antinomie nelle quali sfocia la cosiddetta cosmologia razionale – cioè la cosmologia in quanto vuole applicarsi al Cosmo intero – è quella fra Universo finito nel tempo e nello spazio contro Universo infinito nel tempo e nello spazio. La tesi presenta argomenti accettabili a favore della prima posizione, l’antitesi mostra argomenti altrettanto convincenti a favore della seconda. Al cospetto delle antinomie, Kant propende per l’instaurazione di una pax cosmologica, che si concretizza nella perenne sospensione di giudizio sull’idea di Mondo:

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«Nulla parrebbe più chiaro di questo: che cioè di due, uno dei quali afferma: il mondo ha un cominciamento, e l’altro: il mondo non ha un cominciamento, ma è dall’eternità, uno debba aver ragione. Ma se è così, è perché se pari è la chiarezza delle due parti, non è mai possibile tuttavia decider da che parte sia la ragione; e il conflitto dura dopo come prima, benché le due parti siano state mandate in pace dal tribunale della ragione; non rimane, dunque, altro mezzo per porre termine stabilmente al conflitto e con soddisfazione di ambe le parti, se non che siano convinte finalmente, poiché l’una può così bene confutar l’altra, che esse combattono per nulla, e che una certa apparenza trascendentale ha messo loro innanzi una realtà, dove non c’è» (Critica della ragion pura).

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L’idea di Mondo può al massimo fungere da chiave euristica – corroborando il cosiddetto uso regolativo delle idee – nella ricerca astronomica, «una ricerca che non potrà [concludersi] mai (). Dobbiamo perseguire la serie delle condizioni [cioè della catena causale dei fenomeni naturali] () come se essa fosse in sé infinita e senza un termine primo e supremo» (ibidem). Giunti alle soglie di quello che si potrebbe apparentemente ritenere come l’inizio del Mondo, occorre comportarsi seguendo l’assunto-guida che esso rappresenti in realtà – fino a prova contraria, per Kant però mai ottenibile – l’esito dello sviluppo di uno stato fisico precedente. In effetti, la cosmologia fisica – che ha un approccio alla realtà cosmica diverso dalla metafisica – si approccia al momento del Big bang presupponendo che esso costituisca il risultato di un qualche processo naturale precedente. D’altro canto, fisica e metafisica si occupano di livelli distinti dell’essere.

Più tardi tornerò sul pensiero di Kant, precisamente su quello del giovane Kant. Per il momento è interessante notare come secondo molti scienziati la teoria del Big bang si riferisca all’Universo nel suo complesso e ammetta un inizio oltre il quale è impossibile procedere con la fisica, cioè, come ebbe a dire l’astronomo olandese Willem de Sitter (1872-1934), «un punto di partenza al di là del quale non siamo in grado di estendere le nostre conoscenze» (Kosmos, 1932, traduzione mia). Secondo altri, in modo speciale per gli astronomi dei Paesi ex-comunisti, il Big bang riguardò soltanto la porzione osservabile di un Universo altrimenti infinito nel tempo e nello spazio. Il Big bang, quindi, contrassegnerebbe certamente l’inizio di qualcosa, ma questo “qualcosa” è solo la regione osservabile del Cosmo, che gli astronomi marxisti chiamavano metagalassia.

Al di là del problema dell’inizio assoluto dell’Universo, tomisticamente irrisolvibile con le sole forze della ragione, nucleo di codesta teoria è che l’Universo non sia sempre esistito con le attuali sembianze, ma fosse in passato completamente diverso da oggi: circa 13,8 miliardi di anni fa, l’intera massa del Cosmo – l’intero spazio-tempo – era raccolta in uno stato a densità e temperature tanto estreme, ma di volume quasi nullo, da tendere all’infinito. I fisici moderni denominano questo stato come singolarità cosmologica, mentre Mons. Georges E. H. J. Lemaître (1894-1966), il grande cosmologo belga padre della cosmologia moderna, lo indicò come atomo primitivo.

Quale piccola curiosità, merita un cenno il fatto che la denominazione Big bang, letteralmente Grande boom, fu un’etichetta dispregiativa applicata a questa teoria da uno dei suoi avversari assoluti: Fred Hoyle (1915-2001). Hoyle era uno dei padri della teoria dell’Universo stazionario (Steady state theory), secondo la quale l’Universo, infinito ed eterno, si espande certamente, ma non per effetto di una catastrofe esplosiva primordiale, bensì in virtù della letterale creazione continua di materia – sì, proprio così! – in determinate regioni dello spazio. Pensiamoci un istante: esiste una teoria pressoché universalmente nota che abbia oggi un nome meno scientifico di Big bang? Eppure, questa terminologia ebbe immediatamente uno straordinario successo quando nel 1949, durante una serie di lezioni di astronomia tenute alla radio della BBC, Hoyle la introdusse per designare quella teoria cosmologica che imputava a un’esplosione primordiale l’attuale espansione dello spazio. Più tardi, le sue lezioni divennero un best seller (cfr. Fred Hoyle, The nature of the universe, 1950).

Ancora un’ultima curiosità: nel 1994 la rivista astronomica divulgativa Sky and telescope lanciò un sondaggio per trovare un nome nuovo per la teoria, ma nessuna proposta alternativa risultò convincente.

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Catastrofe e ordine

Nella storia della geologia è celebre il dibattito fra il catastrofismo di Georges L. C. F. D. Cuvier (1769-1832) e l’attualismo o uniformismo di James Hutton (1726-1797). Per Cuvier la Terra sarebbe stata interessata, nel tempo, da eventi catastrofici improvvisi e brevi, ma di eccezionale intensità, che avrebbero mutato profondamente la superficie del pianeta, provocando estinzioni e disastri; per Hutton, al contrario, i mutamenti geologici devono imputarsi a mutamenti progressivi e più costanti accumulatisi nel tempo. Trasponendo la disputa sul piano cosmologico, la teoria del Big bang sembrerebbe più affine al primo, mentre l’Universo stazionario di Hoyle al secondo. Perché “sembrerebbe”? Perché il Big bang riconcilia in realtà catastrofe e ordine, quasi restituendo la concezione di una catastrofe avvenuta ordinatamente! Un ossimoro? Analizziamo la questione.

Nel modello standard – basato sulla famosa metrica Friedmann-Lemaître-Robertson-Walker (FLRW) – l’attuale costituzione cosmica avrebbe avuto inizio a partire da un’esplosione di energia avvenuta per ragioni scientificamente ignote. Questa esplosione avrebbe ingenerato un’espansione che continua tuttora e che risulterebbe empiricamente confermata, per citarne uno fra molti, dal dato del redshift delle galassie. Eppure, fu a partire da questa esplosione che si sarebbe gradualmente formato, tramite tappe di sviluppo guidate da leggi precise, l’Universo a noi noto. Una perfetta sintesi di catastrofismo e attualismo, guerra e pace, ove le leggi che governavano la materia nelle prime fasi di vita del Mondo sono le medesime che la governano oggi.

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Prima di proseguire, è necessario un chiarimento. Al contrario di quanto si potrebbe immaginare, il Big bang non fu niente di paragonabile a un’esplosione ordinaria, come quella di un’autovettura in stile hollywoodiano. Questo per vari motivi:

 le detonazioni ordinarie avvengono sempre in uno spazio e in un tempo precisi, mentre allora non vi erano ancora né spazio né tempo;
 il Big bang non sprigionò luce, perché in principio l’Universo era un luogo opaco, pervaso da una “nebbia” di radiazioni;
 è di fantasia l’immagine di un Universo primordiale super-piccolo e compatto raccolto in un nucleo visto da fuori, dato che nessun osservatore umano vede il Cosmo da fuori.

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Nelle scienze, tuttavia, occorre anche visualizzare i concetti, per quanto difficile possa essere: anche lo spazio-tempo quadrimensionale, per esempio, è estremamente complesso da immaginare. Nella cosmologia moderna, è difficile pensare al fatto che non vi sia un centro dell’espansione, poiché il Big bang avvenne ovunque e nello stesso momento. Lo stesso fenomeno dell’espansione dello spazio è difficilmente visualizzabile, poiché di norma una dilatazione avviene all’interno di qualcosa, ma in questo caso è l’Universo intero a espandersi, e non “in” qualcosa. L’illustrazione che meglio restituisce l’idea del Cosmo dinamico è quella, famosa, del palloncino sul quale siano disegnati vari puntini, rappresentanti le galassie. Allorché si gonfia il palloncino, i puntini si allontanano gli uni dagli altri. È chiaro che non sono le galassie ad allontanarsi reciprocamente in uno spazio immobile vuoto, ma è come se le galassie fossero incastonate in un tessuto – lo spazio-tempo – che si dilata, facendole allontanare le une dalle altre, e con tanta maggior velocità quanto maggiore è la loro distanza. È la legge di Hubble-Lemaître, così giustamente ribattezzata nel 2018 per decisione dell’Unione Astronomica Internazionale, dopo che per decenni aveva portato il solo nome di Hubble, mentre Lemaître aveva già teorizzato la legge nel 1927, due anni prima dell’astronomo americano. È fra l’altro anche sbagliato definire Hubble come il padre del Big bang, dato che per moltissimo tempo egli fu scettico sull’interpretazione dei redshifts delle galassie come prova dell’espansione cosmica.

Di passaggio, qualche parola su un apparente paradosso: non esiste alcun limite superiore alla velocità di recessione delle galassie, che potrebbe anche avvenire a velocità superiore a quella della luce. Nessuna contraddizione con la relatività ristretta: non si sta parlando, infatti, dello spostamento di un corpo nello spazio, bensì di una dilatazione dello spazio.

Il cosiddetto parametro H(t), il parametro di Hubble – che varia in funzione del tempo (oggi ha valore di circa 70 km/s/Megaparsec: a 1 Megaparsec di distanza, una galassia recede alla velocità indicata, mentre una galassia situata a 10 Megaparsec avrà una velocità dieci volte maggiore, e così via) fornisce una misura della velocità di espansione dell’Universo, o di recessione delle galassie, “da noi”. Si presti molta attenzione a questo “da noi”: come disse Lemaître durante una conferenza tenuta nel 1929,

«le cose accadono un po’ come potrebbero apparire a dei microbi situati sulla superficie di una bolla di sapone. Quando la bolla si gonfia, ogni microbo potrà constatare che i suoi vicini si allontanano da lui; avrà allora l’illusione, ma solo l’illusione, di essere un punto centrale» (La grandezza dello spazio, 1929, in L’ipotesi dell’atomo primitivo: saggio di cosmogonia, traduzione mia).

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Si tratta di una precisazione importante: non vi è un centro dell’espansione, poiché ogni osservatore, in qualsiasi regione dell’Universo, avrebbe la medesima impressione, ovvero che le altre galassie si stiano allontanando proprio da lui. Solo un’impressione però! D’altro canto, Lemaître chiarisce che il pianeta che ospita la vita intelligente si distingue dagli altri corpi celesti già per questo stesso fatto, senza che vi sia necessità di una centralità fisica:

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«Ci sembrerebbe ben strano se il luogo [che ospita] l’intelligenza si distinguesse anche in virtù di proprietà materiali. Noi sappiamo che esso non è né il centro del sistema locale delle stelle né della galassia, e ci sembrerebbe sorprendente se esso fosse [invece] il centro del sistema delle nebulose [galassie]» (ibidem).

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Se qualcuno di noi dovesse poi temere di iniziare un giorno ad allargarsi in virtù dell’espansione dello spazio, possiamo tranquillizzarlo: a livello locale, infatti, gli atomi, i pianeti e le galassie non si espandono, poiché sono dominati dalle forze gravitazionali locali.

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Si parlava, dunque, della dialettica fra catastrofe e ordine. L’Universo è un complesso di enti all’interno del quale si alternano quiete e violenza in maniera continua: un fenomeno devastante come quello delle supernovae, per esempio, avviene pur sempre in base a leggi uniformi. Ma al principio della storia del Cosmo la dialettica fu ancor più sorprendente: Hoyle si chiedeva come potessero essersi formati le galassie e gli ammassi galattici a partire da un’esplosione, che di solito provoca un diradamento della materia, non addensamenti locali. Eppure, incredibilmente, il passaggio dalla pura energia a un Universo popolato da corpi dotati di massa è scientificamente spiegabile con l’equazione E=mc2, che stabilisce l’equivalenza fra massa ed energia. La massa è una forma di energia, come dimostra empiricamente il semplice fatto che un atomo che subisce un decadimento radioattivo emette radiazione luminosa, ma, a emissione avvenuta, risulta aver perso massa.

Un illustre e affascinante precedente storico di questo passaggio si ebbe nel XIII secolo, quando il vescovo di Lincoln e primo rettore della scuola francescana di Oxford Roberto Grossatesta (1175-1253) descrisse, nel trattato De luce, il passaggio da un’entità inestesa – la luce appunto – ai corpi. Nella sua concezione, il Mondo si formò a partire da un punto luce originario creato da Dio con il comando del “Fiat lux”; questo punto luce avrebbe posseduto, intrinsecamente, una virtù moltiplicativa inarrestabile, cosicché a forza di moltiplicarsi indefinitamente in ogni direzione, l’inesteso (della luce) avrebbe prodotto l’estensione (dei corpi materiali).

Le osservazioni astronomiche possono oggi spingersi fino a un’epoca pari a 300.000 anni dopo il Big bang, distanza al di là della quale l’Universo diviene plasma impenetrabile. Laddove non può procedere la fisica, interviene la matematica, che spinge l’asticella un po’ più indietro nel tempo, fino a 10-43 secondi dopo il Big bang. Quanto accadde dall’esplosione primordiale a 10-43 secondi dopo, lasso di tempo denominato èra di Planck, è ignoto: la fisica disponibile non riesce ad applicarsi alle estreme condizioni di quell’epoca. Il Big bang, perciò, non è stato “visto”, ma rappresenta un’inferenza legata alla recessione delle galassie vista a ritroso (e a molto altro). I fisici sognano l’avvento di una teoria capace di unire relatività generale e meccanica quantistica, anche allo scopo di penetrare questo e altri misteri cosmologici.

Il Cosmo dell’èra di Planck fu una compatta e crescente “sfera di fuoco” di dimensioni infinitesime (10-35 metri) dominata dalle imprevedibili dinamiche quantistiche, tipiche del mondo subatomico. Eppure, dall’indeterminazione si passò a un Cosmo determinato, almeno a livello macroscopico. Ma in quell’epoca le cose andarono diversamente, anche se per un istante infinitesimo: quel Mondo che diverrà l’immensamente grande rispose, per un’esigua frazione di tempo, alle leggi governanti ancora oggi l’immensamente piccolo. Interessante sarebbe un futuro approfondimento sulla dialettica fra l’indeterminismo (indeterminazione) quantistico e il determinismo del macrocosmo. Nell’Universo dei primi istanti, peraltro, le quattro forze fondamentali (gravità, elettromagnetismo, interazione nucleare forte, interazione nucleare debole) erano probabilmente unificate in un’unica super-forza, poi scompostasi.

In questa sede non è possibile ripercorrere le tappe dello sviluppo dell’Universo fino alle sue attuali fattezze. Ma non si può passare sotto silenzio la rottura d’ordine che si rivelò indispensabile per la formazione del Cosmo odierno. Nelle prime fasi di vita dell’Universo, e dopo l’inflazione cosmologica – ove l’espansione fu tutt’altro che graduale, dato che fra 10-36 e 10-34 secondi dopo il Big bang il Mondo si espanse passando da dimensioni infinitesime a quelle di un’arancia le particelle subatomiche di materia e antimateria esistevano in quantità pressoché equivalente. L’Universo era allora un plasma fatto di quark e antiquark. Il loro incontro determinava il loro annichilimento reciproco, con il rilascio di energia e di neutrini. Eppure, per ragioni non chiare – mistero tuttora irrisolto – si verificò una rottura di simmetria, con il leggero prevalere della materia sull’antimateria, ossia dei quark sugli antiquark. I quark sopravvissuti sarebbero poi confluiti nei neutroni e nei protoni. Se la simmetria si fosse mantenuta intatta, sarebbe esistito un Cosmo di soli fotoni. Orbene, i fisici spiegano che le violazioni di simmetria non dovrebbero esistere, eppure…

In seguito, lo sviluppo dell’Universo proseguì, fino a un nuovo momento decisivo, circa 300.000-400.000 anni dopo il Big bang, quando in virtù dell’espansione la temperatura cosmica scese al punto tale (circa 2.730°C) da permettere agli elettroni liberi di legarsi ai nuclei atomici, adesso divenuti stabili, di idrogeno (e di elio). I fotoni, data l’assenza di elettroni liberi, poterono finalmente viaggiare liberamente nello spazio, che divenne trasparente alla radiazione, che si separò dalla materia (fu il processo di disaccoppiamento). Si passò dal buio alla luce: il Fiat lux. La caldissima nebbiolina che permeava il Cosmo primordiale scomparve: i fotoni, cioè la luce, si liberarono e l’Universo fu pervaso da una luce caldissima. Se fossimo esistiti in quell’epoca, ci saremmo trovati in uno spazio fatto di purissima luce! I fotoni di quella fase formarono la radiazione cosmica di fondo a microonde (cosmic microwave background radiation), che permea lo spazio intero in ogni direzione e che rappresenta il residuo delle prime fasi di vita di un Universo compatto super-caldo. È quindi una radiazione che giunge a noi dall’Universo primordiale. Possiede una temperatura media di 2,725°K, che è la temperatura media del Cosmo, in qualsiasi direzione si osservi. Si tratta di una radiazione isotropa, a conferma empirica dell’isotropia dell’Universo. Come ogni cosa esistente in Natura, dunque, anche lo spazio siderale possiede una temperatura.

Sorprendente è proprio il fatto che questa radiazione di fondo sia estremamente uniforme, salvo che per leggerissime – ma di importanza incommensurabile – variazioni di densità e calore (tecnicamente: anisotropie) dell’ordine di 1 parte su 100.000. Tali variazioni rappresentano addensamenti locali di materia, i semi delle galassie, che sono i mattoni fondamentali dell’Universo. Anche le motivazioni fisiche che condussero a codesti addensamenti permangono un mistero. Fra 8 e 9 miliardi di anni fa si formò il disco della Via Lattea; 4-5 miliardi di anni fa il Sistema Solare. Fra parentesi: quando nel 1992, in una famosa conferenza stampa, il fisico George F. Smoot (1945-) annunciò la scoperta delle anisotropie nella radiazione fossile da parte del satellite americano COBE – scoperta fondamentale per un’altra grande conferma empirica della teoria del Big bang – egli “osò” dire: «Se siete religiosi, è come aver visto Dio» (John C. Mather e John Boslough, The very first light, 1996, traduzione mia), frase che scatenò un putiferio: certi media furono persino più attratti da questa affermazione che dalla scoperta.

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  Altre chiavi dialettiche rimangono ancora da analizzare. Nella seconda parte dell’articolo mi soffermerò soprattutto sull’affascinante tema del rapporto fra parte e tutto, e su quello fra attrazione e repulsione. Qualche parola sarà dedicata anche alla relazione fra passato e presente dell’Universo, nonché alla generazione e alla corruzione dei corpi celesti e del Mondo.

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Di Mauro Stenico.

Bibliografia

Aristotele,

1971           Fisica. Roma-Bari: Laterza.

2002           Il cielo. Milano: Bompiani.

2003           Organon. Milano: Adelphi.

Hoyle, Fred

1950           The nature of the universe. New York: Harper and Brothers.

Kant, Immanuel

2005           Critica della ragion pura. Roma-Bari: Laterza.

Lemaître, Georges E. H. J.

1929           La grandeur de l’espace. In: Revue des questions scientifiques, v. 93, pp. 186-216.

1958           The primeval atom hypothesis and the problem of the clusters of galaxies. In: Onzième conseil de physique tenu à l’Université de Bruxelles du 9 au 13 juin 1958: la structure et l’évolution de l’univers: rapports et discussions, pp. 1-25. 

2019           L’ipotesi dell’atomo primitivo: saggio di cosmogonia. Trento: Fondazione Museo storico del Trentino. Traduzione italiana integrale dal francese e introduzione storica a cura di Mauro Stenico. Titolo originale: Georges E. Lemaître, L’hypothèse de l’atome primitif: essai de cosmogonie. Neuchâtel: Editions du Griffon, 1946.

Platone,

2003           Timeo. Milano: Bompiani.

Immagine: G. Hüdepohl, CC BY 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/4.0>, via Wikimedia Commons.

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